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Non nel nome di Dio. Religioni e violenza, un seminario in rete

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Come è possibile uccidere nel nome della pace? Non nel mio Nome, seminario in streaming, sul rapporto tra religione e violenza, svoltosi il 27 maggio ed organizzato dall’Istituto di Cristologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (PFTIM), sezione San Tommaso d’Aquino, a cui hanno partecipato teologi cristiani, taoisti, ebrei e musulmani. Protagonisti dell’incontro virtuale don Antonio Ascione, docente della PFTIM, Lucia Antinucci, amicizia ebraico-cristiana, Li Xuan Zong, prefetto della Chiesa Taoista d’Italia, il professore Carmine Matarazzo, docente della PFTIM, Yaya Pallavicini (Coreis), don Edoardo Scognamiglio, docente della PFTIM. A moderare l’incontro Michele Giustiniano, teologo e giornalista, responsabile dell’ufficio stampa PFTIM. Incontro tra le religioni, occasione propizia per mettere un nuovo mattone nel cammino di costruzione della pace.

Politica e religione? - «Non è facile distin­guere tra politica e religione – ha detto don Antonio AscioneIn un certo senso, tale distinzio­ne è abbastanza recente nella storia dell’umanità; se guardiamo alla nostra storia occidentale, gli stati nazionali in Europa sono nati  anche grazie ai conflitti religiosi, e dall’Europa sono nati una via e uno strumento per l’affermazione delle identità nazionali».  Inoltre, non si tratta di negare che molti leader politici ab­biano saputo giocare la carta religiosa per un aumento della mobi­litazione bellica, ma molti dei conflitti che ci sono stati presentati – e lo sono tuttora – come opposizioni di natura intrinsecamente religiosa, sono in realtà di altra natura. Non basta però affermare che la religio­ne non alimenta necessariamente conflitti umani. È infatti possi­bile constatare che essa contribuisce profondamente alla pacificazione dell’umanità e a una vita più felice per centinaia di milioni di persone. Ma, al pari di tutte le realtà universali di per sé buone della vita umana, anche le religioni possono essere strumentalizzate per la violenza.

Non in nome di Dioil messaggio di Cristo rifiuta totalmente la violenza, perché essa sfigura e nega la verità dell’amore di Dio;non c’è nessun Dio che abbia bisogno che l’uomo uccida in suo nome e c’è da chiedersi con quale autorità ci si attribuisca la legittimità di compiere atti in nome di Dio. Miriam Camerini, ci ricorda che il concetto di violenza fa parte della vita quotidiana: è ovunque nella vita dell’uomo e dove è presente l’uomo, questo dall’inizio dell’umanità, da quando Dio ha creato l’uomo sulla terra. La presenza della violenza non è limitata a un gruppo specifico o a un’identità specifica, né è limitata ad un’area storica e ad un era. Non si può eliminare la violenza, fa parte dell’uomo e della società umana. Per cui, anche la religione include la violenza: l’ebraismo il cristianesimo e l’islam, non istigano alla violenza, ma la riconoscono come parte della natura umana. «L’uomo nasce malvagio, la malvagità è un istinto di vita». Come arginare la violenza religiosa? «Bisogna sviluppare una formazione rivolta al dialogo e all’accoglienza dell’altro – ha detto padre Edoardo Scognamiglio – Riscoprire che l’altro è un dono per noi, accoglierlo nelle sue diversità e credere in una fraternità in cui ognuno sia seminatore di pace e di speranza».

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La sfida– Dentro il proprio essere, l’uomo ritrova se stesso e, per chi è uomo di fede, ritrova Dio. Sta qui il segno della Sua presenza e una ragione della fraternità tra le persone e con ogni essere vivente. Ma è nella coscienza che si ha lo scontro tra il bene e il male: uccidere, torturare, opprimere i più deboli sono azioni che hanno il marchio del male. E se il bene e il male rappresentano qualcosa di soggettivo, diventano facilmente arbitrio, giustificando la sete di potenza e la violenza. Molte religioni hanno fatto riferimento all’esistenza di un Dio del bene e di un Dio del male, ed il credente è chiamato, come fortemente espresso nel corso del seminario da Yaya Pallavicini, a vincere la sfida di far prevalere il bene sul male. «Riuscire a sapere che c’è una dimensione interiore di bene e una possibilità negativa che l’uomo ha di corrompere se stesso e ciò che lo circonda e di spargere sangue anche attraverso i propri simili… Questa possibilità negativa prevede uno sforzo di natura spirituale, per prendere coscienza del bene e del male, discernere il bene e il male e far prevalere il bene sul male, sia dal punto di vista personale e umanitario. Non come giustificazione o legittimazione di una violenza inaudita dal punto di vista religioso».

Conclusioni- Il professore Carmine Matarazzo, nel suo intervento conclusivo, pone al centro la prospettiva di un nuovo umanesimo, bandendo ogni forma di autoreferenzialità, indicando Papa Francesco e il documento di Abu Dahbi come strada sicura per trovare nuovi percorsi, senza cadere nel sincretismo, bensì considerando le differenti identità religiose, la ricchezza per riscoprire il volto dell’altro: «non bisogna farsi prendere dalla paura di dialogare e non pensare che ci sia una disfatta della identità. Nel dialogo si impara ad essere più umani ed ecco che l’umanità chiede nel dialogo il profilo di un nuovo umanesimo religioso. Un umanesimo dal volto umano. Per la logica cristiana, illuminata dall’antropologia biblica, l’altro non è mai una incognita, non è mai un pericolo, ma è sempre un volto».