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Alda Merini

 

Grazie alla legge 180, nota anche come “legge Basaglia” dal nome dello psichiatra  che la introdusse nel 1978 in Italia, sono stati gradualmente chiusi tutti i manicomi. Con questa legge si è detto basta, almeno in parte, alle sofferenze di molte persone. Non erano soltanto i malati di mente ad essere rinchiusi, ma chiunque potesse rappresentare una minaccia per la società o coloro che vivevano ai margini di essa, come gli alcolizzati o i drogati. Molti hanno dimenticato, o preferiscono non sapere, le torture, gli orrori e i trattamenti disumani che i cosiddetti “pazzi” hanno subito per anni. C’è una poetessa dei nostri tempi, Alda Merini, che è stata vittima di una casa di cura e nelle sue poesie cogliamo il dolore e la disperazione di chi ha subìto soprusi e si sente ingiustamente accusata di colpe che non ha commesso. Riportiamo una delle sue poesie dal titolo “Mia sorella”. 


Mia sorella

che mi ha rubato le lacrime

che mi ha rubato il cuore

chiudendomi

dentro il circolo vizioso del manicomio

trovando che tutto era solo dolore.

Mia sorella

che mi ha discusso come il Signore

sedendosi al tavolo dei miscredenti

e che disse alla folla che ero atea

e prevaricatrice,

mia sorella divina

e grande come la disgrazia

mi ha lasciato sola e perduta

dentro un mare di perle.

Esse sono cose private

e lunghe amare catene

che fluttuano di porta in porta

di cammino in cammino

e la folla ingenerosa e felice

non sa che i passati predecessori

mi hanno rubato l’anima.

Essa è un cavo convesso

e una dolce peluria d’amore. 

Mia sorella

era divinamente assorta dentro il suo fato

quando caddi perduta dentro la sua catena.

Ahimè mia sorella

mi ha lasciato in un incantesimo pieno di gioia

lei che fu la seconda gravida madre

amore di Clitennestra!

Ahime che il manicomio

Ha dato frutti d’amore e di festa.

Ahime che in manicomio

trovammo la via della vita eterna

e il senno della filosofia con la goccia del Vate

amabile perla essa solcò le mie guance

avendo cura di non gelarmi nell’ombra.