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Bambini iperattivi

Bambini terribili: ingestibili perché viziati da un approccio pedagogico sbagliato? Spesso lo stile educativo non c’entra, perché il cosiddetto ADHD, ovvero disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, è una vera e propria malattia d’origine genetica che si verifica tra il 3% e il 7% dei bambini in età scolastica.

Il problema di questa patologia è che se ne sa ancora molto poco.  Molti la definiscono una malattia silenziosa, poiché si cela tra le altre caratteristiche dei disturbi di personalità.

Ad oggi non esistono prove o esami clinici per isolare i fattori che riconducono all’ADHD. Né esistono sintomi specifici, se non repentini cambiamenti nella personalità dei minori che ne soffrono. <<Non è malato, è il suo caratterino>> è una delle classiche frasi dette da genitori che sottovalutano o non ammettono che il proprio figlio possa avere dei problemi.

L’ADHD comporta difficoltà di attenzione e concentrazione, carenza di controllo degli impulsi e del livello di attività motoria: problemi che derivano dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. Gli esperti chiariscono dunque che l’ADHD non è una fase turbolenta che ogni bambino sperimenta durante la crescita, né è il risultato di una disciplina educativa debole, e tanto meno deve essere considerato conseguenza di un’innata cattiveria del bambino.

Sebbene gli studi siano ancora lontani dal prescrivere una cura valida ed efficace, alcune recenti ricerche mostrano dati incoraggianti.

L’ analisi condotta dalla Radboud University e dall’ADHD Research Centre in Olanda, pubblicata sulla rivista scientifica Lancet, ha ipotizzato che una giusta dieta possa agire positivamente sull’andamento della patologia.

Gli autori dello studio hanno seguito 100 bambini di età compresa fra i 4 e gli 8 anni, con diagnosi di ADHD suddividendoli in due gruppi: il primo ha seguito una dieta di privazione, il secondo ha mantenuto un regime alimentare che non prevedeva l’esclusione di alcun cibo.
Nella dieta di privazione erano previsti riso, acqua, carne bianca e alcuni tipi di frutta e verdura, mentre sono stati esclusi grano, pomodori, uova e latticini.
Dopo 5 settimane si è notato che i bambini del gruppo di privazione hanno mostrato un miglioramento nei sintomi della loro patologia di base.
Saranno necessarie ulteriori ricerche sull’argomento, ma questo studio è importante per tutti quei genitori con figli affetti da ADHD restii a intraprendere una terapia farmacologia, e che quindi cercano approcci alternativi al problema.