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Carità all’ombra del Vesuvio

All’ombra del Vesuvio non prendono forma solo storie di malavita, come alcuni media vorrebbero farci credere soprattutto negli ultimi tempi. Esistono anche tante storie di santità. Una tra tutte, quella del Servo di Dio Francesco Maione, terziario francescano nativo di Sant’Anastasia (NA), morto a soli 34 anni il 21 novembre 1874, nell’Ospedale degli Incurabili di Napoli.

Di questo umile ragazzo, che si distingueva per azioni di carità, parlava sempre con grande ammirazione e devozione il Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei. E’ particolarmente interessante rileggere, a distanza di 134 anni, la testimonianza che lo stesso Bartolo Longo rilasciò nel processo di Beatificazione di questo giovane, soprattutto alla luce del fatto che questo illustre testimone è già stato beatificato, mentre Francesco Maione ancora no.

Riportiamo di seguito qualche brano di questa preziosa testimonianza del 14 giugno 1884, tratta dal volume II, pagine 859 e seguenti.
<<Nel 1868, per quanto ora ricordi, cominciai a frequentare l’Ospedale degli Incurabili in Napoli per le opere spirituali e mi associai a quei fratelli. A tal modo, frequentando la sesta sala del detto ospedale conobbi personalmente il Servo di Dio Francesco Maione infermo di male cronico, attratto e mal conformato nella persona. Egli in quella sala faceva da priore, cioè prendeva cura di quanto riguardava i bisogni spirituali di quegli infermi.
Fu tale l’impressione che io ricevetti della caritativa condotta del Servo di Dio Maione, che coi miei amici e compagni soleva parlare dovunque mi trovavo di quest’uomo straordinario, il quale per le sue malattie era da dirsi un essere presso che inutile alla società, ma nel fatto egli era un padre di perfetta carità cristiana; intendendo con ciò dimostrare che la grazia del Signore e la virtù cristiana è tale che da un essere apparentemente inutile ne forma un eroe e ciò contro i principi falsi della presente civiltà, che vorrebbe sostenere.
L’effetto del suo conversare con me era di una dolcezza e di una sazietà di spirito, che valeva a distruggere qualunque noia della vita o melanconia di cui spesso allora io soffrivo. Sicché per me era unico sollievo nel tirare la vita di orazione e di studio e ben volentieri io preferivo a qualunque mondana conversazione l’intrattenermi tre quarti d’ora all’Ospedale accanto al letto di Francesco Maione, anche lo star talora semplicemente seduto e poggiato sul letto di lui, e contemplare in quell’infermo la serenità della sua fronte e l’amabile semplicità della sua virtù era per me un sollievo.
Io per me ero inabile all’istruzione catechistica di quegli infermi, perché ignaro del dialetto napoletano e dei modi come potermi avvicinare e insegnare a quegli infermi e Francesco Maione mi dava con grande maestria tutti i suggerimenti opportuni per entrare nell’animo degli infermi riottosi ai sacramenti, cavavo dal suo origliere pezzi di pane e delle mele affinchè ne somministrassi ai più poveri tra gli infermi, e così indurli a prendere il catechismo e apparecchiarsi agli ultimi sacramenti. Di fatti non ostante che io ignorassi al tutto il modo come catechizzare gli infermi, pure mi avvedeva che seguendo ciecamente le istruzioni che mi dava il Servo di Dio, gli infermi venivano sollevati, apparecchiati alla confessione e alla comunione.
Per le cose conosciute sul conto di questo Servo di Dio, come di sopra ho deposto, ho nutrito e nutro sentita devozione per lui; lo invoco abitualmente nelle mie preghiere quotidiane, specialmente poi in qualche bisogno più urgente l’ho invocato con fiducia, insieme ad altri Servi di Dio pei quali ho pari venerazione, e debbo dire che ne ho sperimentato il patrocinio; conservo con grande venerazione il cordoncino di San Francesco che soleva portare addosso questo Servo di Dio, ed a quanto ricordo anche la corona che soleva usare nelle sue orazioni. Desidero vivamente che la Chiesa lo elevi all’onore degli altari per la maggior gloria di Dio; ed ho dato anche qualche limosina per le spese di questa causa>>.