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Donne, è arrivato l’arrotino

[1] [2]<<Donne, è arrivato l’arrotino>>. Quante volte abbiamo ascoltato questo messaggio registrato di buon mattino. Una voce amica che risuona da decenni nelle vie e nelle piazze di ogni paese dello stivale. Lo vedi arrivare in apecar o furgoncini fiorino con un altoparlante che annuncia alle massaie:<<Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da prosciutto>>. Un tempo l’arrotino era un ambulante artigiano che girava a dorso d’asino, poi in bicicletta, portando con sé la pesante mola per affilare le lame, manovrata con un sistema di leva a pedale. Svolgeva cosi il proprio mestiere, spostandosi con una sorta di biciclo-carretto dotato di una grossa ruota di legno, rivestita da un cerchione di ferro; il carretto, una volta giunto sul luogo di lavoro, veniva letteralmente ribaltato su sé stesso e si trasformava nello strumento di lavoro. Quello dell’arrotino è difatti un mestiere antichissimo, nato in epoche in cui non esisteva il consumismo, in cui la prassi era far arrotare, piuttosto che gettar via, un coltello non più tagliente. Sembra avere origini trentine, nascendo come seconda attività invernale tramandata di padre in figlio, dai contadini di montagna della Val Rendena, nel cuore delle Dolomiti di Brenta. Fino al primo dopoguerra, gli arrotini rendenesi giravano l’Europa austroungarica con la mola al seguito. I più intraprendenti si fermavano in qualche città e aprivano il negozio, trapiantandosi altrove. Un altro luogo d’origine degli arrotini è il Molise. E’ da questa regione che don Felice Ciro Stasio, 64 anni, si trasferisce ad Ercolano nel lontano ’62 assieme ai familiari. A 14 anni abbandona la scuola ed eredita la passione e il mestiere tramandato dai suoi genitori e dai suoi nonni. <<A Frosolone ogni giorno, finita la scuola – racconta Ciro – entravo in una fabbrica di coltelleria, d’altronde non c’erano alternative, bisognava lavorare>>. All’età di 20 anni fu chiamato da una zia ad Ercolano per lavorare in una piccola bottega a Pugliano, centro storico rinomato per il mercato delle pezze e il santuario della Madonna risalente al 1100. Nel ’69 trasferisce l’attività al Corso Resina, dove tuttora, a distanza di 40 anni, continua ad esercitarla con la stessa passione d’un tempo. Numerosi i clienti che chiedono di affilare coltelli da macelleria, salumeria, falegnameria, o per calzolai, sarti, fabbriche di pellame, anche da comuni limitrofi. Nelle vetrine trovano spazio coltelli casalinghi e forbici, ma Ciro ammette che la vendita è sporadica, grazie alla qualità degli arnesi che consentono una durata nel tempo. Don Ciro lavora ancora sulle mole marroni risalenti agli anni ’60, spiegando che in fondo <<non esistono segreti particolari, è solo una questione di mano>>. L’abilità consiste nel posizionare la mano nel verso giusto, retto, senza tremolio, seguendo un ritmo dettato dal suono della mola: << il coltello si affila dritto e per non sbagliare si ascolta il suono della mola, come un pianista che compone una melodia>>. In passato suo figlio ci ha provato, con tanta buona volontà ma non è riuscito nell’opera, come tanti che ponevano una mano diagonale o trasversale. Don Ciro ha tentato più volte di trasmettere il mestiere a ragazzi della città e a nipoti, ma sempre senza risultati. <<Allora – gli chiedo – esiste un segreto? Non tutti sono capaci, vero?>>. In effetti è cosi, è la risposta della mola che permette di comprendere l’errore. Si avvicina a quella centrale, prende un coltello e mette alla prova il mio orecchio. Quando il suono è cupo, monotono, duro, non si sta affilando nulla, anzi, forse si sta danneggiando una lama. Al contrario il suono acuto, stridente, è sintomo di una mano ben adagiata, perfetta per affilare. Sopra la mola un tubicino lascia scorrere acqua a gettito continuo, per raffreddare le lame, che finisce in un secchiello ai piedi della stessa. Tutt’intorno vaschette con forbici di ogni tipo, coltelli da cucina e piccoli arnesi di varia misura. L’arrotino dalle origini molisane ammette di essere l’ultimo testimone di un’attività secolare che sta scomparendo, anche per una motivazione ben precisa: <<i sacrifici della giornata di lavoro non equivalgono al guadagno… e sono aperto 12 ore al giorno>>. Vede di buon occhio un avviamento professionale, l’utilità di avvicinarsi alla professione. Diversi anni fa scrisse al Comune affinché fosse autorizzato a dare “lezioni” ai ragazzi interessati in città. Non ha mai ricevuto risposta, mentre avrebbe meritato più attenzione la sua antica professione. La sua bottega storica è sul Corso Resina, a pochi metri dagli scavi archeologici. Un vecchio arrotino fa da sfondo in una stampa appesa alla parete. <<Sapessi quanti turisti – dice don Ciro – vengono qui, scattano foto e le portano in Inghilterra, in Germania…>>.

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