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Fortapasc

FORTAPASC di MARCO RISI ITA, 09.

La sera del 23 settembre 1985, sotto casa sua, viene ucciso il giovane giornalista Giancarlo Siani, reo di aver messo a fuoco i conflitti interni alla camorra e le collusioni di questa coi politici di Torre Annunziata. Nel 2001 già il giovane regista Maurizio Fiume, utilizzando come set anche  la redazione di Metropolis, aveva dedicato un film a Giancarlo, “E io ti seguo”. Un film generoso, che non ebbe una circuitazione degna di questo nome. E anche per Risi la storia produttiva è complicata: era un vecchio progetto, addirittura precedente al film di Fiume, reso oggi  possibile dall’interessamento di Angelo Barbagallo, che è u personaggio molto interessante del cinema italiano. Ha prodotto con lungimiranza i film di Moretti e ha creduto in “La meglio gioventù” di M.T.Giordana. “Fortapàsc” è un bel film: mi ha intrigato e commosso. Ha evitato le secche della beatificazione post mortem. E’ di fronte a noi un non-eroe, che voleva, con una buona dose di incoscienza, ma anche di dignità professionale, fare solo il suo mestiere. A dire il vero, era uno che non capiva fino in fondo, forse, le implicazioni che scaturivano dal suo osservare con onestà e semplicità gli avvenimenti di “nera” che era chiamato a descrivere. Ma una volta mangiata la foglia, non si è sottratto ad un percorso che poteva essere pericoloso. I bravi sceneggiatori, Purgatori e Carrington, e lo stesso regista hanno operato il massimo sforzo nel contestualizzare la vicenda umana e individuale in un importante punto di svolta della storia della criminalità. La vicenda di Siani, interpretato dall’attore assai misurato e intenso Libero De Rienzo, emerge dal confronto molto serrato, dal punto di vista cinematografico, con  l’ambiente mafioso che condizionava pesantemente  la vita economica del grande Comune di Torre Annunziata. Le connivenze tra il Sindaco e Valentino Gionta, il capo del clan locale, erano fortissime. Gionta, ora all’ergastolo, è qui l’attore molto bravo M. Gallo. Distaccatosi dai cutoliani, non solo era uscito indenne dalla distruzione della NCO, ma si era ritagliato uno spazio tutto suo. Il suo muoversi nell’ambiente fisico della Città in cui operava è  reso con un senso quasi corale di “partecipazione” popolare. Ma questo è un tratto che il Gionta sollecitava e di cui si gloriava, con donazioni e interventi “benefici”, mentre spacciava e faceva il pizzo e lo strozzo. Un modo di fa che gli veniva “ideologicamente” dalla vecchia appartenenza al super-clan di Cutolo, che faceva della Camorra addirittura una specie di movimento antistatale. La descrizione ambientale è resa  con un realismo severo denso di squallore, anche attraverso eccessi cromatici. Fa pensare al cinema classico di Francesco Rosi, e non a “Gomorra”.