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Gomorra

Cinque storie d’‘O Sistema tra Secondigliano e il Litorale Domitio. Totò, tredicenne, da ragazzo di salumeria diventa adepto e strumento di un’esecuzione. Due balordi che vogliono fare come “Scarface”. Ciro, un impiegatuccio del crimine preso in mezzo alla faida di Scampìa. Un cinico e accattivante piazzatore di rifiuti tossici industriali. Un sarto di griffes false che dà lezioni di haute couture ai cinesi. Tratto dall’omonimo testo di Roberto Saviano, il film ha inteso coglierne, come ha detto lo stesso regista, “il clima, le immagini, le dinamiche”. E’ stato progettato dal produttore Procacci, di “Fandango film”, che comprò i diritti cinematografici del libro ancor prima che fosse pubblicato. Ciò getta una luce ulteriore su questo personaggio interessante e poliedrico dell’attuale cinema italiano. D’altronde sarebbe stato impossibile sintetizzare un’opera tale. Quindi la scelta di “drammaturgizzare” alcuni spunti presenti, sia pur in forma di accenni, è da considerarsi felice e ampiamente riuscita. Il film non è un documentario. E’ un’opera di grande risalto stilistico. Il regista è anche cosceneggiatore del film insieme allo stesso Saviano, a Chiti, a Gaudioso, che ha collaborato anche ad altri suoi film, e ad altri ancora. Ha elaborato una ricerca formale molto sofisticata, in cui il ricorrere alla camera “a spalla” non è solo un vezzo per far sembrare tutto più “vero”, ma anche per farci entrare nel cuore dell’umanità disumanizzata di queste persone, già morte ancor prima di essere colpite in uno dei tanti episodi di ammazzamenti reciproci. Sono figure che accettano consapevolmente di vivere solo come cani rabbiosi, senza darsi nessuna ragione o un perché. Il regista non dà alcuna spiegazione morale: osserva con attenzione, senza supponenza o distacco emotivo, i fatti che sono sotto gli occhi di tutti. L’unico ad essere in grado di allontanarsi è il giovane collaboratore di Servillo: lo fa  perché è uno “normale” che credeva di avere ottenuto un lavoro come tanti. In realtà lo sguardo del regista, che ricorda quello di F.Rosi, mette in luce il degrado complessivo che è, al contempo, causa ed effetto dello strapotere della Camorra. La visione delle “Vele” di Secondigliano non è solo squallida, ma è titanicamente allucinante: ha un impatto emotivo sulla nostra fantasia che la rende unica. L’uso del montaggio assai elaborato fa emergere il talento complessivo degli attori: G.Imparato, sospeso tra paura e ignavia esistenziale; S.Cantalupo, il sarto che vede nei cinesi una possibilità di staccarsi dalla schiavitù; M.Nazionale, accorata ma lucida madre. Ma soprattutto Servillo, che dà le sembianze fintamente simpatiche al peggior perfido del film: l’inquinatore.