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I peggiori 150 anni della nostra storia

[1]
Gennaro De Crescenzo
I peggiori 150 anni della nostra storia – L’unificazione come origine del sottosviluppo del Sud
Il Giglio Edizioni 2012
€ 12,00
pp. 88

«Il Sud non ha aderito all’unificazione». E’ questa la tesi che Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico, docente di italiano e storia, specializzato in archivistica, descrive nel suo nuovo lavoro, I peggiori 150 anni della nostra storia – L’unificazione come origine del sottosviluppo del Sud. Il libro è stato presentato presso la libreria Loffredo da Marina Carrese e dal professor Orazio Abbamonte, giurista e storico, docente presso la Seconda Università di Napoli.
Riprendendo ricerche effettuate tramite lo studio scientifico di alcuni dati tratti dallo Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, e dall’archivio storico della Banca d’Italia, De Crescenzo denuncia con una forte tensione morale verità preoccupanti. L’arretratezza del meridione non sarebbe un retaggio preunitario, ma risalirebbe al 1890. A conferma di tale teoria, sostenuta da tempo dai filoborbonici, esistono alcune ricerche rese pubbliche a giugno dalla studiosa Stéphanie Callet, riguardanti la comparazione delle monete preunitarie e la misurazione del livello del debito sovrano. In base ai dati raccolti la Callet ha affermato che al tempo dell’Unità il Regno di Napoli rappresentava per l’Italia quel che ai nostri giorni la Germania rappresenta per l’Europa.
«L’Unità è l’origine del sottosviluppo del Sud» ha ribadito De Crescenzo nel corso dell’incontro, aggiungendo che la scomparsa del Regno delle Due Sicilie avvenne a causa di una invasione armata e non per mezzo di una naturale implosione del sistema. Un decadimento che non ha ancora arrestato il suo corso.
I peggiori 150 anni della nostra storia persegue un preciso obiettivo morale: « Non disperdere la conoscenza di quel che saremmo stati se la storia fosse andata diversamente» ha affermato il professor Abbamonte, secondo il quale i padri fondatori dell’Italia Unita avevano previsto che l’identità nazionale del Paese si sarebbe formata attraverso l’ identificazione del popolo italiano negli eroi nazionali. Da parte delle popolazioni meridionali il risultato culturale fu opposto. Efficace il collegamento con il filosofo e storico napoletano Benedetto Croce il quale, come ricorda Abbamonte, riteneva che la storia del meridione avesse perso di interesse a causa della discontinuità insanabile che si era venuta a creare tra il Regno di Napoli e lo Stato centrale.
Alla provocazione circa l’incapacità di reazione da parte delle elite meridionali post unitarie, De Crescenzo risponde affermando che mai nessun popolo nella storia è stato sottoposto ad umiliazioni, uccisioni ed incarcerazioni per motivazioni ideologiche nella misura del popolo meridionale. Le emigrazioni degli anni Settanta ed Ottanta del ‘900 hanno causato danni globali. Lo spopolamento dei piccoli centri urbani ha condannato anziani, donne e bambini alla sottomissione e alla violenza.
Attraverso il suo lavoro di ricerca, Gennaro De Crescenzo arriva a confutare le tesi fondamentali di cui si avvalgono gli antiborbonici, tra le quali l’elevato tasso di analfabetismo e l’assenza di reti ferroviarie nel Regno di Napoli. De Crescenzo ritiene infatti che dal secondo censimento, risalente al 1871, emergerebbe un tasso di analfabetismo elevato in tutta Italia e che i Borbone privilegiassero le vie marittime a quelle ferroviarie. Nel Regno di Napoli erano previsti sistemi di pensioni, vitalizi e soprassoldi. Lo sviluppo economico ed industriale era tale che nel 1836 la ditta Anselmi – Natale fu sul punto di progettare le prime automobili a vapore.
Gennaro De Crescenzo pone un interrogativo:« Quale classe politica abbiamo formato per centocinquanta anni?». La speranza è riposta nei giovani meridionali affinchè si esca dalla condizione di chiedere permessi per ciò che dovrebbe spettare loro di diritto. Questo libro può aiutarli a« rientrare in possesso di quelle radici che qualcuno ci ha strappato con una certa violenza» ha concluso l’autore.