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Il matrimonio di Lorna

“IL MATRIMONIO DI LORNA” di LUC & JEAN-PIERRE DARDENNE; FRA-UK, 08.

Lorna è una ragazza albanese che per avere la cittadinanza belga, sposa un drogato. Ma ai suoi capi serve vedova, per poter sposare poi un russo e dare a lui la cittadinanza. Invece, la ragazza aiuta il marito a uscire dall’eroina. I due registi belgi ci hanno abituati da tempo ad un cinema che affronta la realtà attuale, specie quella più spinosa e ricca di conflitti. Bisogna dire che col tempo essi “fotografano” sempre di meno, nel senso che il loro cinema non è più tanto a tesi, in cui è presentata la solita sbobba buonista, anzi è sempre più ricco di implicazioni individuali e complesse trasformazioni psicologiche, però senza perdere di vista i  problemi da cui avevano preso le mosse. Lorna all’inizio, più che cinica, è fortemente motivata a prestarsi, per soldi, al finto matrimonio: ha il sogno di coronare il suo intenso amore per un connazionale con l’acquisto di un locale in cui lavorare insieme, affrancandosi da tutta la miseria patita. Quindi lei sa cos’è l’amore e la dedizione. Ha la capacità di avvertire l’angosciosa disperazione del suo finto marito e in qualche modo se ne fa carico. E nel farlo si trasforma: fa in modo che il suo grido la penetri profondamente. Non è propriamente amore, ma una dimensione di solidarietà tanto intensa da farla interagire con lui, fino al dono d’amore del suo corpo.  Nel far ciò prende anche consapevolezza dell’abisso di solitudine in cui lei viveva: anche quello che riteneva il “grande amore” si rivela per un ometto, povero dentro, e suoi soci dei mostri. A lei non resta che coltivare un sogno, una fantasia risarcitoria per quel suo marito che non è riuscita a salvare: che in lei vive suo figlio. Vero? non vero? Tutto è lasciato nell’ambiguità, nella sfera della ricreazione onirica.  Come nel chiudersi nel rifugio al finale: una dimensione fantastica diversa dall’asciutto realismo fino a quel momento adottato, almeno all’apparenza. Ma questa è la grandezza degli autori e del film: riuscire a trasferire lo sviluppo drammatico in una zona diversa di stile e di considerazione. l personaggi, in particolare la povera Lorna, sono come attraversati da se stessi: il suo chiudersi nella fantasia materna recupera una modalità di presenza che non è più materiale, ma di spiritualità. Come già in “L’Enfant”, ci si ispira a R.Bresson, il grande cineasta cattolico. Qui invece c’è un rarefarsi di stile più originale: la narrazione è estremamente ellittica. Si passa da una fase all’altra senza raccordi esteriori: è come se tutto avvenisse solo nell’anima di Lorna. Non c’è alcuna musica, solo qualche accenno nel finale. Sono rari perfino i rumori esterni: solo il bosco risuonerà di cinguettii benauguranti.