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Intervista esclusiva al giovane regista Antonio Manco

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Conversare con Antonio Manco, il giovane regista che ci  ha incuriositi con il suo ultimo cortometraggio Il sogno di Gennaro (vedi recensione: http://cittadelmonte.info/2010/11/13/il-sogno-di-gennaro-prodotto-e-diretto-da-antonio-manco-gonzales/#axzz1EJXLyA00 [3]),  è per me fonte di continue scoperte. Quando ci ritoviamo a parlare di cinema, di Napoli, la città che io e lui amiamo visceralmente, dei progetti professionali e umani che abbiamo in cantiere, ho sempre l’impressione che dall’incontro dei nostri due universi entrambi ne usciamo arricchiti e rafforzati nella voglia di fare. E’ per questo che gli ho chiesto di rilasciare un’intervista in esclusiva per i lettori di Città del Monte. Vorrei che la sua grande tenacia, la sua motivazione e il coraggio con il quale ha affrontato le tante difficoltà nell’autoproduzione del suo film contagino soprattutto i nostri lettori più giovani.

Antonio, qual è il sogno di Gennaro per te che l’hai creato?

Intanto è fondamentale per me dirti che il sogno di Gennaro è un film vietato ai maggiorenni.

E’ una favola e come tale è scritta più per i bambini che non per gli adulti.

Mi sono spesso appellato ad una visione innocente che deriva dal mio percorso documentaristico per poter ottenere alcuni momenti che credo siano riusciti.

Il mio Gennaro difatti è un bambinone, un po’ come me. Pensa solo che il mio fan più accanito si chiama Yari ed ha appena 12 anni. Il sogno di Gennaro è quello di realizzare se stesso, di non dover lottare contro un sistema burocratico e disumano che non ti permette di essere felice..

Posso dirti ancora che “il sogno” rappresenta una visione e anche una speranza,  che poi, secondo me, è quella del napoletano medio. La speranza infatti la fa da padrona in una società che, non riuscendo a risolvere i propri problemi, spera sempre che avvenga qualcosa o arrivi qualcuno in soccorso che possa domani rendere le cose migliori (“forse…e chi ‘o sape?… Speramm!”). 

Tu ti sei completamente autofinanziato ed autoprodotto. Quali sono state le difficoltà maggiori della produzione de “Il sogno di Gennaro” e dell’autofinanziarsi? Quanto è costato e in che modo sei riuscito ad autofinanziarti? Penso sia stato uno sforzo notevole.

Quando chiedi al tuo innamorato il costo del regalo rovini l’atmosfera romantica e rischi sempre di sminuire il valore del regalo, e trattandosi di un sogno interpretato e giocato poi, non mi sembra il caso di dare ulteriori numeri… Comunque si, non è stato facile, e devo ringraziare lo sforzo di tutte quelle persone che ci hanno lavorato. Devo ringraziare la passione e la enorme pazienza che c’è stata da parte di tutti i collaboratori che mi hanno sopportato per quasi un anno. Devo in particolare ringraziare i miei collaboratori della Hobos Factory, produzione di cinema indipendente, che hanno investito in questo progetto. Devo ringraziare l’abile direttore della fotografia Orfeo Leone e il giovane talento di Giuseppe Perrone che ha composto e diretto la musica con delle performance stilistiche davvero notevoli, entrambi contribuendo pienamente alla magia del film. La difficoltà più grande comunque, secondo me, è la disponibilità del tempo. Non a caso si dice che il tempo è denaro. Riuscire a mettere insieme il tempo delle persone è la cosa più difficile e quando ci riesci è sempre pochissimo e allora non basta correre; quando sei indipendente e ti trovi dinnanzi a delle piccole difficoltà, devi volare.  Fortunatamente uno dei punti di forza dell’essere indipendente è l’essere mossi dalla fede nel tuo progetto più che dal denaro, per cui spesso sei più forte di chiunque altro, perché la tua motivazione, che è alla base del lavoro, è superiore. Non posso dimenticare tutte quelle persone che in un modo o nell’altro hanno apportato valore aggiunto. Mi riferisco a dei piccoli commercianti che hanno collaborato, mettendomi a disposizione foto di famiglia e oggetti cari per la messa in scena. Le emozioni, l’illusione negli occhi e la grande disponibilità che questi mi hanno manifestato mi ha spesso illuminato la strada, rendendomela meno difficile e assai piacevole.

Credo che a Napoli, più che altrove, ci sia bisogno di produrre cinema, di promuovere il territorio, non solo attraverso i telegiornali di cronaca nera e scandalistici, ma anche attraverso delle storie che sappiano reinterpretare la realtà e l’ambiente e apportare ad esso nuovo significato sia per il turista sia per lo stesso cittadino.

Come hai scelto i tuoi attori, come li hai “scovati”? Come hai convinto gli attori professionisti a partecipare e soprattutto quali caratteristiche hai cercato in quelli non-professionisti?

Essendo tornato a Napoli dopo dieci anni di assenza, non conoscevo nessuno e non sapevo proprio cosa sarebbe successo. Avevo già scritto e delineato molto bene l’aspetto e il carattere dei personaggi, sapevo bene cosa volevo, non sapevo però come e in che modo li avrei trovati. Ho quindi indetto qualche giorno di casting presso la Scuola di Cinema di Napoli e ho intervistato e conosciuto alcuni attori e attrici più o meno attivi nell’ambiente. In quei giorni ho individuato Antonio Mattera (il nonno) e la bella Anna Maria Papa (coprotagonista) che aveva, a dispetto di altre, solo qualche esperienza televisiva, però era precisa spiccicata il personaggio che stavo cercando; non ci sono stati grossi problemi nell’interpretazione se non causati dal clima terribile di marzo, che ci ha visto lavorare spesso col freddo e la pioggia, portandoci quindi a dei ritardi sul set e spesso anche ad un comprensibile nervosismo. Ci sono alcune foto nel nostro sito comunque (www.ilsognodigennaro.com [4]) che possono rendere meglio l’idea.

Ho avuto poi la fortuna di conoscere personalmente Arduino Speranza prima e  Massimo Masiello poi. Quello che posso dirti è che Massimo Masiello, pur partecipando con un ruolo marginale, riesce a spostare completamente il climax della storia. Semplicemente riuscito! Chi l’ha visto in questo momento starà sorridendo insieme a me… Arduino Speranza invece è il coprotagonista di questo strano sogno e per certi aspetti e in certi momenti ne è il vero protagonista. A lui devo tantissimo, mi ha aiutato in fase di preparazione divenendo Actor Coach e facendo questo progetto sempre più suo. Il tutto è stato un work in progress che a poco a poco ha avuto modo e fortuna di trovare un ambiente fertile nel quale svilupparsi. Si sono quindi venuti a creare un po’ da soli tutti quegli elementi che mi hanno permesso di realizzare questo esperimento cinematografico.

Rispetto invece agli attori non protagonisti ho pensato a due cari amici già noti nel mondo dello spettacolo spagnolo.  Carlos Fuentes e Maria Reyes. Carlos, oltre ad essere un noto attore, è anche un giovane produttore di cinema, il quale, curioso e compiaciuto del mio primo cortometraggio (dal titolo “Como si nada fuera”, già interpretato da Maria Reyes), ha accettato di venire a Napoli per questo piccolo film e stiamo creando le basi per uno grande in comune. Maria Reyes è invece una bellissima modella ed attrice di fiction e di teatro. Oltre ad essere molto bella ed espressiva (fu anche miss Spagna qualche anno fa) ha davvero una gran talento come attrice.

L’hai scelta di nuovo…

Si, anche perché mi piaceva l’idea di creare una sorta di continuità col corto precedente.

Maria rappresentava per me il passato che si evolve nel presente. Evidentemente i due lavori hanno una storia parallela. Questo però è il mio film nel film, un lusso virtuale che mi godo praticamente da solo. Forse chi li ha visti entrambi può cogliere la sfumatura.

E’ come se queste persone-personaggi abbiano una vita “altra” attraverso il cinema. Perché il cinema è anche questo: proiezione di qualcosa che non esiste ma esiste.

Non è esistente, ma “esistibile”?

Assolutamente si. Sono delle immagini virtuali che però contengono delle emozioni reali.

Stavamo parlando di attori. Quindi Carlos Fuentes e Maria Reyes li avevi conosciuti in Spagna?

Ho lavorato con loro all’accademia del cinema di Barcellona ed ho avuto la possibilità di conoscerli per un altro progetto cinematografico. Ma il lavorare a stretto contatto ci ha dato modo di conoscerci e di diventare amici.

Oggi Carlos tra l’altro è uno dei possibili coproduttori del seguito de “Il sogno di Gennaro”. Ma ci sono varie idee in gioco qui a Napoli, staremo a vedere cosa succede. In questo caso la produzione ha un ruolo creativo all’interno della storia. A seconda dei luoghi e delle intenzioni…

Torniamo alla scelta degli attori non professionisti, in particolare del protagonista: Gaetano è l’unico non-professionista vero e proprio…

Con Gaetano ho un aneddoto davvero singolare. Intanto lui è l’unico non professionista e l’ho scelto perché il mio obiettivo era quello di riuscire a portare sul grande schermo una persona, un lavoratore che avesse in sé, nel proprio dna culturale, quelle caratteristiche che io cercavo. Un puro atto neorealista.

Lui nella vita è un carrozziere…

Si, lui nella vita è un carrozziere, lo conobbi circa cinque anni fa, mentre giravo un documentario nei Quartieri Spagnoli per conto di Patricia Pimienta Fernandez, una regista colombiana, e per caso mi sono imbattuto nella sua officina: Gaetano stava “grattando” una vespa. Questa immagine a me è rimasta dentro. Ricordo la chiacchierata che ebbi con lui e ricordo tutto ciò che avvenne in quei minuti trascorsi insieme. Da quella immagine di Gaetano che grattava la vespa, poi ho scritto anni dopo quello che oggi è “Il sogno di Gennaro”. Quando scrivevo, immaginavo lui come protagonista, quindi è in parte la trasposizione di una storia reale. Puoi immaginare quanto ci tenessi a far partecipare proprio lui al progetto. Già questo aveva per me i tratti del sogno, immaginato e realizzato… Quando gli ho proposto questa cosa, inizialmente pensava fosse uno scherzo, l’idea lo divertiva, non si è mai preso troppo sul serio e questo è stato un bene. E oggi avviene l’opposto: non vede l’ora di continuare a lavorare come attore. Anche lui ha contribuito alla rifinitura della sceneggiatura, fino a fare suo questo lavoro. E’stato semplicemente straordinario. Devo dire che siamo stati tutti concordi, attori e tecnici, sul fatto che questo Gaetano Guida, sconosciuto carrozziere dei quartieri spagnoli di Napoli, non solo fosse il più adatto al ruolo, ma soprattutto che si sia rivelato poi in fase di riprese un vero talento. Ascolto spesso il mio istinto e sono felice di constatare che in questo caso non mi sono sbagliato. Ho sentito Gaetano un po’ come il mio alter-ego e anche per questo che provo per lui un affetto speciale.

Dunque, mi sembra di capire che tu ti sia innamorato del tuo cast.

Ebbene, è così. Non sempre avviene in questi termini, ma la sensazione di gruppo che abbiamo vissuto si è trasformata facilmente in una sana amicizia per molti, complice sicuramente l’interculturalità vissuta. Sono avvenuti degli incontri nuovi e speciali per qualcuno, c’è stato un percorso di crescita per altri, questo ci ha avvicinato e ci ha reso un tutt’uno. Questo è sicuramente uno dei punti forti del nostro lavoro.

Guardando il corto, ho notato delle inquadrature stupende con un panorama mozzafiato.

Qual è per te l’inquadratura più bella? E la scena che ti è più cara?

Ce ne sono di varie che mi emozionano particolarmente. Ciascuna per un motivo diverso dall’altra. Però vorrei sempre lasciare che lo spettatore la scopra da sé, senza essere influenzato troppo. Ci tengo a dirti che la fotografia nei miei lavori è fondamentale. Che quando scrivo parto sempre da un immagine ben definita. A volte le lascio stare senza toccarle troppo per far si che parlino da sole e allora la fotografia deve essere essenziale. Ho tormentato per quanto mi è stato possibile il direttore della fotografia, Orfeo Leone, un giovane talentuoso romano, di origine napoletana. Questa cosa ha influenzato positivamente la nostra ricerca. Abbiamo visitato i luoghi e passato le giornate a mangiare pasta e patate con la provola, fino a quando non abbiamo delineato i vari aspetti. C’è stata una vivace sintonia tra noi, e si vede! Devo anche ringraziare Lega Ambiente nella persona di Anna Maria Cicellyn Comneno che è stata la mia consulente alle location. In definitiva queste persone e questi luoghi rappresentano per me il viaggio nel viaggio alla riscoperta della città. E spero proprio di essere riuscito a restituire attraverso queste mie note stonate l’amore che provo e la magia che in ogni angolo dimenticato avverto a Napoli.

La “prima” del cortometraggio è stata a Napoli. Come è stato accolto il tuo lavoro dal pubblico partenopeo?

È stato ricevuto in maniera molto positiva. La prima è avvenuta al Cinema la Perla e abbiamo ospitato oltre 400 persone che ci hanno ripagato calorosamente. E’ stato il nostro piccolo grande momento e durante quei brevissimi 25 minuti il pubblico ha vissuto diverse emozioni. Credo aver colto qualcosa di loro e averlo reso in modo autentico, per quanto mi fosse possibile. Sentivo una tensione speciale, ma non vale, io sono di parte…

Invece mi stavi parlando l’altra volta del fatto che ci sarà una presentazione in Spagna.

Il bisogno di co-produrre diviene una forza, soprattutto se pensiamo all’Italia e alla Spagna, in particolare poi tra Napoli e Barcellona credo tra l’altro che ci siano delle similitudine interessanti. Dovrebbero essere gemellate, secondo me. Barcellona è una Napoli che sembra funzionare sotto molti aspetti. C’è la cultura del rispetto delle proprie origini che sicuramente mi ha influenzato negli anni in cui ho vissuto lì. Adesso sto attendendo la selezione ad un festival di cinema catalano che spero proprio arrivi a incentivare questa coproduzione mediterranea.

Una città che senti tua, insomma.

Assolutamente. Avendoci vissuto per tre anni e mezzo, continuo a mantenere un’ottima relazione con questa. A me poi è servita paradossalmente a riscoprire Napoli, ci sono tanti punti in comune eppure son tanto diverse…quando si dice che la diversità avvicina…chi ha vissuto per anni all’estero sa a cosa mi riferisco.

Cinematograficamente parlando, a chi ti sei ispirato per questo tuo lavoro?

Mah. In verità per me è stato un grande esperimento, nel quale ho voluto giocare come potevo.  Non credo ci sia qualcuno in particolare, anche se ci sono delle citazioni chiare. Mi riferisco a Luciano De Crescenzo, ma anche a Dino Risi, c’è anche un po’ di teatro napoletano, come prescinderne? Un po’ di Troisi, di Eduardo e di Totò…è come dire un po’ di olio, sale e pepe… senza nun sap e nient! A modo mio, mi sembra di aver fatto una frittura mista e anche se inconsciamente in verità tutto è collegato. L’ho cucinata e credo che si veda, più che per specularci, per nostalgia. E’ la mia ricerca di qualcosa che manca, che forse si trova in un passato che va riscoperto, fatto più nostro, nell’arte come nella vita.

Un’ultima domanda. Abbiamo parlato del sogno di Gennaro e abbiamo detto che realizzare il sogno di Gennaro era il tuo sogno, ma oggi qual è il sogno di Antonio Manco?

Sogno di girare il remake di uno dei film che più amo in assoluto: Le 4 giornate di Napoli di Nanny Loy.

Solo con due piccole differenze: la prima è che sia ambientato nei giorni nostri. Voglio vedere questi napoletani uniti nello scacciare i nazisti di oggi, che sono in verità i politici corrotti, quelli che  speculano sui disagi ambientali, sull’emergenza rifiuti, sui tumori, gli avidi approfittatori, i criminali. E la seconda differenza è che il film non sia una fiction ma un documentario.

So già a cosa stai pensando! Ma è questo il potere del sogno, farti arrivare dove non puoi, e quando lo desideri davvero, in qualche modo stai già avvicinandoti al tuo sogno. E per questo che oggi il mio voglio condividerlo con voi.

Ti faccio i miei più sinceri auguri e mi prenoto già per scrivere la recensione del tuo prossimo film.

DIDASCALIA FOTOfoto 1) Antonio Manco durante le riprese; foto 2) Riprese di una scena del film a Bagnoli