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Intervista esclusiva ad Albert&Albert – parte 1

Albert & Albert, è lo pseudonimo dei due autori del libro "Il mondo online questo (s)conosciuto", al quale abbiamo dedicato alcuni articoli nel precedente numero del nostro giornale. Si tratta di due amici che avendo lo stesso nome hanno adottato uno pseudonimo semplice ed efficace.Albert & Albert  hanno storie molto diverse, uno proiettato nel mondo scientifico e quindi nel razionale, l’altro nel mondo dei viaggi, del relax e pertanto nell’irrazionale e nell’intangibile. Un connubio tra due mondi così diversi ma anche così essenziali l’uno per l’altro.Questo “scontro” tra due personalità quasi antitetiche, con visioni e modi di essere tanto differenti, ha permesso che l’analisi e pertanto la redazione di questo saggio si vantasse di essere totalmente completa, in una logica di contraddittorio.
Città del Monte ha deciso di intervistarli, rivolgendo ad entrambi le stesse domande, per scoprire in che modo ciascuno dei due autori ha vissuto le fasi di stesura del libro.
In questa pagina vi proponiamo l’intervista all’autore che chiameremo Albert 1, per rispetto verso la sua maggiore età anagrafica.
Quali sono i vostri veri nomi e perché avete scelto questo pseudonimo?
Questo abbiamo deciso di non svelarlo. Chiamandoci nella realtà entrambi Alberto, abbiamo optato per la scelta di questo pseudonimo, Albert & Albert, che suona più gradevole dei nostri cognomi. Infatti, noi adesso stiamo scrivendo altri due libri – uno che riguarda i viaggi e un saggio su precariato e mondo del lavoro – e abbiamo deciso di continuare ad utilizzare questo pseudonimo, perché abbiamo notato che la gente lo ricorda meglio. Insomma, funziona.
Come è nata l’idea del libro?
L’idea è nata da una “telefonata-fiume” con Mimosa Martini, una famosa giornalista di Mediaset che io non conoscevo affatto. Parlando di tante cose, siamo andati a sbattere su quest’argomento. Specifico che io non sono affatto uno scrittore di professione e nemmeno adesso mi considero tale per il solo fatto di aver scritto un libro. Così, quando Mimosa Martini mi ha accennato alla proposta di fare un libro sull’argomento, io ho avuto un attimo di titubanza. Mi son chiesto: ma come scrivo? chi corregge? chi stampa? Venivo proiettato in un mondo (quello editoriale, ndr) che non conoscevo affatto. Così lei mi ha indirizzato su Giancarlo Bruschini (per la consulenza editoriale, ndr). A quel punto ho chiamato l’altro Albert e gli ho detto: visto che tu scrivi spesso relazioni scientifiche, più di me hai la mano abituata a scrivere e ti occupi anche tu di una certa sfera (internet, ndr), dammi una mano ecc…ecc…
 Questo è uno di quei casi in cui è importante avere una visione complementare. Io e Albert, infatti, abbiamo due personalità completamente diverse: io sono il giorno, lui è la notte; io sono molto estroverso, lui molto introverso; io sono diffidente, lui meno diffidente. Insomma, siamo agli antipodi. Per questo siamo stati complementari.
Ad esempio, molti argomenti li abbiamo fortemente discussi, come quello dell’amicizia e dell’amore in chat. Io non credo che ci si possa innamorare in chat e non credo alle amicizie nate in chat, salvo rarissime eccezioni. L’altro Albert, invece, è più possibilista.
Durante quest’indagine ha scoperto qualcosa che non avrebbe mai creduto di poter scoprire? Qualcosa di strano, preoccupante, stupefacente?
Assolutamente si. La prima cosa preoccupante è che qui parliamo di gente (il popolo delle chat, ndr) che non vive da sola. Nel 99% dei casi, parliamo di gente che vive in famiglia, con una moglie, con un marito, con dei figli o con il padre e la madre. E a questo proposito io mi chiedevo, mi chiedo e mi chiederò sempre come facciano costoro a navigare per ore e ore in orari non solo notturni. Mi chiedo: ma se tu sei sposata/o e hai un’età anche giovane, come fai a passare ore e ore davanti a un computer e all’altro/a partner, come si dice a Roma, “nun gliene po’ frega’ de meno”?. La trovo una cosa molto preoccupante, perché vuol dire che il tessuto familiare non c’è proprio. Potrei capirlo se si connettessero una volta a settimana. Ma questa è gente che tutti i santi giorni o le sante sere passa ore ed ore su messenger, piuttosto che su altri social network….spesso anche più “espliciti”.
Non si tratta affatto dei vecchi che hanno problemi di solitudine o che hanno bisogno della bottiglia di viagra…tanto per capirci. Si tratta di persone tra i 30 e i 40 anni con tutte le rotelle apposto e le carte in regola. E non è un caso sporadico. E’ la stragrande maggioranza dei casi.
E allora mi chiedo: ma nelle coppie non si guarda cosa fa l’altro durante la giornata? Possibile che ci siano così tante coppie che fanno finta di convivere?  
 
In seguito alla realizzazione del libro, è cambiato il suo rapporto con internet?
Tra i due autori, io sono quello che si è lanciato di più nelle chat. E devo dire, molto onestamente, che le chat sono veramente una droga. Io, che lo stavo facendo per lavoro, non vedovo l’ora di tornare a casa per accendere il pc e leggere i messaggi.
Sa quanti ne trovavo ogni volta? Almeno un centinaio. E non sono certo Brad Pitt o un Adone. E li ricevevo da varie fasce d’età e di mondo.
Quando ho finito il libro, per poterci fare una X sopra, ho dovuto lottare con me stesso. Ho avuto grandissime difficoltà a staccarmene, perché quel mondo era diventata una linfa vitale che mi gasava…che mi diceva: sei forte, sei bello, sei fico… E quando ti trovi in un momento particolare della tua vita, in cui, ad esempio, ti sei lasciato con la fidanzata o con il fidanzato, le chat diventano una linfa vitale.
Devo dire che, in tutto ciò, il livello culturale non c’entra affatto: ci trovi allo stesso modo l’avvocato, l’ingegnere, il fruttivendolo…
Questa esperienza mi ha fatto ricordare un episodio di quando lavoravo ad Ostia: in un bar, sotto l’ufficio, c’erano 3 o 4 persone che giocavano continuamente alla slot machines. Erano sempre gli stessi. Allora, poiché io sono di origini napoletane e per indole non riesco mai a farmi i fatti miei, mi dissi: con questi io ci devo parlare! E’ mai possibile che non abbiano una casa, una moglie, una figlia e stiano dalla mattina alla sera sempre qui a giocare? Oltre all’aspetto economico devastante…Questi si giocavano tutta la pensione…
Io ho parlato con loro ed erano semplicemente persone che avevano bisogno di parlare.
Ed è la stessa cosa che è emersa dalle chat: vi si trova gente che ha bisogno di parlare, parlare, parlare….perchè nelle famiglie non si parla più.  
Questi che stanno nelle chat con le mogli e con i mariti non parlano più. E credo che anche tutto il resto con lo facciano più….non so se mi spiego…
Qual è il bilancio che ha tracciato alla fine di tutto questo lavoro?
Internet non è tutta monnezza. Internet è uno strumento d’informazione e di comunicazione validissimo. Ma per tutto ciò che riguarda chat e social network, credo che la gente dovrebbe interrogarsi sul perché ha la necessità di andare a finire su questa roba. E non mi si venga a dire che è solo per ritrovare i vecchi amici. Come abbiamo fatto nel passato a ritrovare i vecchi amici? Eppure, li abbiamo ritrovati comunque.
Queste chat e questi social network nascondono solo un grande bisogno di affetto, di dialogo, di comprensione. Tutte cose che oggi, nella vita reale, non abbiamo più. E lo ripeto: qui non si tratta di persone che vivono sole.
Se ho una moglie che mi dorme accanto nel letto e devo parlare con Tizio o Tizia sulle chat per “sfruculiare” la mia fantasia, c’è qualcosa che non va….non va…non va.
Io invito mogli, mariti, genitori ad avere gli occhi aperti e a chiedersi: perché mio marito, mia moglie, mia figlia stanno tante ore al computer tutte le sere? Fammi andare un po’ a vedere cosa fanno…
Bisogna recuperare il dialogo. Assolutamente. Io incontravo persone che non mi conoscevano affatto, eppure mi “vomitavano” tutta la loro vita.
In definitiva, le chat presentano problemi affettivi e di sesso. I social network più famosi, invece, sono macchine da soldi: quelli che li hanno creati sono milionari e miliardari.
E tenete presente una cosa: non esiste solo Facebook. Ce ne sono tanti altri che sono “robaccia”. E quando dico “robaccia” credo che abbiate capito di cosa sto parlando: non mettono in contatto i ragazzi con i compagni della Parrocchia, ma esistono per altri tipi di compagnia.