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La pastorale carceraria, obiettivi e finalità

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Il mosaico del bene prosegue a comporsi nei suoi tasselli alla Facoltà Teologica di Capodimonte. La pastorale carceraria: obiettivi e finalità, con don Franco Esposito, direttore dell’Ufficio di Pastorale Carceraria e suor Liberata Magliocchetti, operatrice pastorale carceraria: lezione quarta del corso di formazione Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, promosso dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Tommaso d’Aquino, in  collaborazione con l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri italiane, l’Ufficio di Pastorale Carceraria dell’Arcidiocesi di Napoli, con il patrocinio del Garante delle persone sottoposte a misure ristrettive della libertà personale Regione Campania.

 

La Pastorale Carceraria oggi – Per la Chiesa, la dignità della persona è dignità non solo umana ma anche dei figli di Dio. Perciò, nel farsi paladina dei diritti umani conculcati, essa si mobilita con una duplice motivazione e abbraccia anche i carcerati, i quali non sono figli di un dio minore. La consapevolezza da parte del carcerato di essere creatura che vive in Cristo, gli consente di pensare al proprio riscatto, nella certezza di poter contare sull’aiuto di Dio e non soltanto sulle proprie forze. È in quest’ottica che vanno ripensate le stesse politiche carcerarie. Per quanto la vita nei penitenziari possa essere dura e difficile, non può e non deve separare mai dalla propria dignità umana. È questo il messaggio di speranza che la pastorale carceraria è chiamata ad annunciare e a testimoniare, sulla base della comunione e della missione. Il rapporto che, grazie agli operatori pastorali e sociali, si instaura tra la comunità ecclesiale e le carceri non è mai definito una volta per tutte. Poiché i tempi e le situazioni socio-culturali sono mutevoli, esso deve essere continuamente rivisitato, coltivato e opportunamente incrementato. Tutti i fedeli sono chiamati a vivere la Chiesa come Famiglia di Dio, dove dovrebbero prevalere le relazioni di solidarietà e di mutuo aiuto. La pastorale penitenziaria deve essere una delle prime e più importanti responsabilità della Chiesa. Non basta che i credenti visitino i carcerati: devono lottare per i loro diritti, per il benessere ed il rispetto di tutte le persone coinvolte, come anche per la riforma della Giustizia Penale e del Sistema Carcerario affinché siano efficaci e attenti alla dignità di ciascuno.

 

Le riflessioni dei relatori: Don Franco Esposito – <<La pastorale carceraria è vera se l’annuncio del Vangelo della liberazione della salvezza è rivolto e attento all’uomo e alla sua storia; storia di vita personale, ma anche familiare, di rapporti sociali  e di comunità, di fedeltà e di peccato, di pentimento, di riconciliazione e di perdono, di soddisfazione e di riparazione. Il carcere è uno struttura istituzionale e chiusa già per sua natura, e che tende al massimo isolamento della persona; la Chiesa è invece, per sua natura, comunione e rapporto con Dio, attraverso gli uomini. Caratteristica fondamentale del volontariato è operare nel nome del cambiamento, con l’uomo nel suo disagio, i poveri, gli ultimi e gli emarginati, per eliminare causa di sofferenza. Come credenti non possiamo rinunciare al coraggio della profezia evangelica e del cambiamento che devono caratterizzare tutto il nostro impegno come operatori e volontari, affinchè esso diventi annuncio di liberazione e di speranza. È importante saper fare evangelizzazione, non in maniera specialistica, ma come portatori della buona notizia. I volontari chiamati a coltivare e custodire un giardino, il carcere. Pastorale carceraria come una compagna di cammino, luce nel buio, in cui si guarda la persona non solo nel tempo del carcere, ma prima, durante e dopo, prendendo su di se il male dell’altro, sino a farlo sentire meno male>>. Suor Liberata Magliocchetti – <<Ricordo la mia esperienza di pastorale carceraria in Brasile.<<Ero in carcere e mi avete visitato>>, non c’è niente di più nobile che mettere la propria persona al servizio di chi ha bisogno. Fare nostra angoscia e speranza in un mondo di tenebre. Proporsi, contagiarsi in una crescita fatta di impegno e responsabilità. Nel servizio dell’accoglienza nessuno è solo. Ciò che conta è che ci sia l’ascolto alla persona, partendo da un non giudicare. Sentire l’altro, coltivare quello che si chiama empatia…l’empatia alla base del cammino pastorale di chi accetta di vivere questa sfida. In Brasile ho imparato una espressione; UAI: uscire, andare, incontrare…imparatela e fatela vostra>>.