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L’Avvento di Michael O’Brien

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Il nuovo libro di Michael O’Brien, uno dei più importanti scrittori canadesi e mondiali “L’attesa, storie per l’avvento”, a cura di Edoardo Rialti, traduzione di Annalisa Teggi, San Paolo Edizioni, 12 euro) è una traccia di attesa, un ponte di comunione.

L’attesa è uno spalancamento di libertà, una cerniera tra promessa e realizzazione. Non è la riduzione alla formulazione di una nostra immagine, che seppur protese a ciò che avviene e a ciò che in questo momento sta avvenendo.

Rinvia ad un altro da sé, all’accadere degli angoli del reale, di tensione nella carne. Si potrebbe aggiungere che l’attesa è la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima. È data e senza calcolo e situa la propria origine in ogni spazio della realtà, dagli affetti, al lavoro, ai figli, al lavoro e alla condizione del riposo e del tempo libero.

Lo aveva intuito Mario Luzi nel dramma teatrale di Ipazia: <<Chi viene? Chi mi chiama? Perché questa visita? Sono stanca e colma, non posso accogliere niente e nessuno>> e la voce risponde: << Sono colui che è dovunque. E sempre. Non vengo. Sono qui come sono ogni parte>>, e Ipazia: << Oh non ti riconosco. Ti pensavo diverso>>. La voce ancora: <<Sono come sei tu. Perché io sono te. Te ed altro da te. È questo altro che devi sopprimere, perché anch’esso devi comprendere e far tuo>>. Questo è at-tendere.

Michael O’Brien, negli ultimi anni, gode di grande notorietà nel nostro paese, grazie ad alcuni titoli importanti come Il Libraio, Il Nemico, L’isola del mondo e Theophilos.

Qui ci sono sette storie che si pongono in una società dove il rapporto tra comunicazione e comunione è interrotto, e dove la rivoluzione elettronica ha smesso di far riscoprire la pazienza, vivendo come se fossimo <<sigillati ermeticamente e a comparti stagni, come quei bus per turisti>>.

La deformazione spazio-temporale di notizie passeggere, di bombardamenti mediatici, l’incapacità di gestire la materia hanno però un nuovo bisogno, quello di saper avvicinarsi alle cose con maggiore intensità e valutare se <<gli strumenti che usiamo ci predispongono al bene o al male>>.

La meravigliosa traduzione di Annalisa Teggi offre respiro a pagine dense e soavi, ma che incidono l’animo che non ha censure o ripari ideologici.

Scrive O’Brien: <<L’Avvento è il tempo per imparare a fare questo col sostegno della grazia. È il periodo in cui impariamo a portare con maggiore dignità il peso della nostra debolezza di creature e a scoprire vittorie inaspettate. Ma eccoci qui, paracadutati in un momento e luogo particolare della storia, una condizione che è segnata, evidentemente, da una specifica esperienza di pena. E in più facciamo parte di un contesto culturale che satura la nostra coscienza e ridefinisce continuamente cosa sia la realtà>>.

L’Avvento che costituisce per coloro che vivono nell’emisfero settentrionale il periodo più buio dell’anno e dove le cose vivono un’appassire lento, rappresenta però una nuova percezione di occhi e un nuovo sperdimento, per l’approssimarsi della densità invernale e della tensione alla primavera.

La grazia di questo periodo riempie gli occhi di una nuovo imprevisto, di una nuova sosta sulle cose.

Queste piccole storie conoscono la speranza, che è la capacità, nel presente, di portare la fatica, proprio perché si ha la ragione limpida del proprio destino e quindi sperare implica un cambiamento radicale, una prospettiva che invade gli occhi e una conoscenza nuova. Per una positività ultima, per un moto decisivo.

La solenne e tragica bellezza di Cesare Pavese ce lo ricorda: <<In verità siamo tutti in attesa…Siamo tutti inquieti, chi seduto, chi disteso, qualcuno contorto,  e dentro di noi c’è un vuoto, un’attesa, che ti fa trasalire la pelle nuda.>>

O’Brien attraverso questo libro prezioso e abissale ricorda la nostra natura, il movimento teso all’incontro, alla rivelazione e alla scoperta di sé.

<<Forse avremo una percezione più chiara della questione, e troveremo una risposta, quando spegneremo tutte le macchine e usciremo nell’aria pungente a camminare tra le meraviglie della natura. Forse, camminando, incontreremo una famiglia in viaggio attraverso colline innevate, sfinita e bisognosa, che cerca una stella ed è accompagnata da una stella mai vista. Seguiamoli>>.

Non un miracolo ma un cammino.