- Città del Monte - http://www.cittadelmonte.it/wordpress -

MAD MAX: FURY ROAD

mad max fury road [1]In un deserto al centro del nulla, Mad Max, irriducibile e solitario, viene catturato dalla orda di Immortan Joe, sovrano assoluto e malvagio di una comunità di guerrieri invasati, a lui devotissimi. Max si trova implicato nella fuga da Joe di Imperatrice Furiosa, che ha trafugato un carico preziosissimo: contro di loro l’intera orda.

Il 79 vide la luce il primo Mad Max, diretto dallo stesso regista del presente, George Miller, che da noi si chiamò, stranamente, “Interceptor”, ed ebbe un buon successo, soprattutto inaspettato, e segnò il lancio del suo protagonista, l’australiano Mel Gibson.

Il secondo della serie, “Interceptor: il guerriero della strada” fu dell’82 e pure non andò male. Ma fu il terzo, “Mad Max: oltre la sfera del tuono” (85), che lanciò definitivamente regista, attore e la stessa idea dello scenario visual-tematico del film, molto forte e originale, divenuto poi un locus specifico nelle mitologie dell’immaginario della postmodernità, presente in innumerevoli film (e non solo). Quello di un futuro apocalittico, dove la tecnologia, è diventata solo strumento di distruzione dell’umanità e di totale desertificazione del pianeta: futuro non tanto lontano che la vede regredire nella piena barbarie, alla pura e immediata sopravvivenza; in “Fury Road” alla ricerca disperata dell’acqua, il bene primario, raro e assoluto per eccellenza (negli altri film era il petrolio…).

Max è ossessionato dalle presenze in lui di persone che da lui dipendevano e che lui avrebbe dovuto salvare: ed è il tema del primo; ma queste sono le giustificazioni psicologiche, che ne descrivono in modi esasperati il comportamento ramingo e follemente individualista; ne danno un nucleo di motivazione: ma anche di contraddittoria umanità. In questo senso, a mio avviso, il film (USA-AUSTRAL, 15) è un sequel della trilogia. E il deserto non è più quello dell’Australia, com’era sommariamente indicato nei tre; ma, benché girato in Namibia, nella stessa Australia che l’ha anche coprodotto, di una qualunque parte, perfino urbana, dell’universo una volta fiorente e abitato. E’ un intenso e concentrato non-luogo di metafora universale, e uno dei protagonisti, anzi “il” protagonista-non-parlante dell’intero film. Dove non c’è altro che il nulla, se non la disperazione. Qui il lavoro del direttore della foto, uno dei decani della fotografia mondiale (non solo cinematografica), e uno dei più importanti e illustri tra quelli australiani, John Seale, è stato davvero immenso e di grande livello artistico-espressivo: egli ha fatto “parlare” quelle immense pianure avvolte nella sabbia e nel sole. Ne ha saputo trarre delle vere e proprie vibrazioni “sonore” di luce, pur immerse in un silenzio atavico e ancestrale, senza tempo e figlie di una pura astrazione visiva; ma vitali. Egli ha portato al culmine la sua personale ricerca di fotografia ambientale, ma calandola in una dimensione epico-drammatica di respiro; anzi: di pura energia narrativa.

E su questo movimentatissimo e pur statico – perché il deserto è sempre quello – scenario si muovono gli uomini: ma soprattutto le donne. Come nel III film era la regina tenebrosa ma magnetica Aunty Entity, resa da una strepitosa Tina Turner, la protagonista vera del film, qui c’è Furiosa, la bellissima, assai fisicamente pregnante pur nella sua eterea biondità chiara, Charlize Theron. Anzi: è un felicissimo e assurdo contrasto vedere come la bellezza così elfica e lontana addirittura privata di un braccio, della Theron, sappia calamitare la nostra attenzione; ci affascini e ci commuova per la sua energia personale, compressa affettività, consapevole e matura sensualità e solidale umanità. Soprattutto con le donne della sua sorrellanza da cui era stata rapita dal cattivone e con le altre ragazze del “tesoro”. E come Aunty era divenuta perfino un’icona di femminilità, grazie a stilisti come Thierry Meugler che in quegli anni avevano creato dei modelli a lei ispirati, così stilisti come Marc Jacobs e Loewe, nel contemporaneo si sono ispirati agli abbigliamenti di Furiosa e delle sue vergini da salvare. Questo per sottolineare come la potenza visiva di un film riuscito possa diventare fonte dell’immaginario collettivo e, in particolare, incubatore di fantasie condivise, qual è la moda. La Theron e Max, il molto “fisico” Tom Hardy, vivono l’esperienza del film in un flusso continuo di azione, di gesti e di movimenti: non solo la Theron, che già abbiamo visto perfettamente a suo agio in altri film d’azione, ha una mobilità continua ; ma è tutto il film ad essere survoltato ad una velocità forsennata. Quel camion cisterna è praticamente il ristretto ambito scenografico su cui si gioca tutta la pellicola; ed è sempre in corsa e nelle più disparate e impreviste condizioni, che mutano vorticosamente.

E’ pura adrenalina. E’ chiaro che il montaggio, curato da un’intera équipe coordinata dai bravissimi Margaret Sisel e Jason Ballantine, è da capolavoro per efficacia e significatività. Ma il film, grazie alla veduta d’insieme dello sperimentato regista, non perde mai di vista il suo senso profondamente umano e pedagogico.