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Pesach ebraica e Pasqua cristiana, tra tradizione e innovazione, continuità e rottura

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È di questi giorni la notizia secondo la quale un intero albergo di Capri (il Capri Tiberio Palace) sarebbe stato prenotato da un gruppo di fedeli ebrei che ha scelto di celebrare sull’isola azzurra la Pasqua Ebraica. 

La festività di Pesach, infatti, in questo 2011 (anno 5771 del calendario ebraico) cade nei giorni che vanno dal 19 al 26 aprile, a cavallo delle celebrazioni della Pasqua cristiana.

Come scrive il biblista francese Louis Monloubou, «la festa della Pasqua è considerata sia da Israele (…) sia dalla Chiesa cristiana come il rito fondatore che ricorda solennemente le origini e il loro momento costitutivo».

La festa della Pasqua, attraverso i secoli, ha subito molte evoluzioni. Senza avere grosse pretese filologiche ed esegetiche, dunque, proviamo a ripercorrere circa tre millenni di storia, tracciando il percorso che dall’antichissimo rito pasquale dei clan ebraici nomadi giunge alla Pasqua di Gesù Cristo.

PARTIAMO DAL NOME

Il termine Pasqua è ricalcato sul greco «pàscha», che deriva a sua volta dall’aramaico «pashâ» e dall’ebraico «pesach». L’origine della parola è molto discussa dagli studiosi, ma nessuna ipotesi prevale ad oggi sulle altre. 

In ogni caso, nel linguaggio biblico, «pesach» indica l’azione del “passare”, dunque, il “passaggio”, il “rinnovamento”. Passaggio da un ciclo stagionale all’altro, da una terra all’altra, dal vecchio al nuovo. Passaggio da una condizione all’altra, dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce.

NELL’ANTICO TESTAMENTO…

Il libro dell’Esodo ci presenta due diversi riti primaverili, quello dei pastori (la Pasqua) e quello degli agricoltori (la festa degli azzimi), originariamente distinti, ma destinati a fondersi successivamente in un’unica festività nella tradizione di Israele.

Il rito dei pastori veniva celebrato dai clan ebraici durante la loro vita pastorale. Questi allevatori nomadi lo celebravano al momento della transumanza, ovvero in quel periodo dell’anno in cui, al ritorno della primavera, si spostavano alla ricerca di nuovi pascoli.

La festa prevedeva il compimento di tre riti:

1)      L’offerta a Jahvè di un giovane capo di bestiame, nato nell’anno, per assicurarsi le benedizioni divine sul gregge. La vittima sacrificale era un agnello o un capretto, maschio, senza alcun difetto, del quale non doveva essere spezzato alcun osso.

2)      La consumazione del pasto sacro, durante il quale l’agnello o il capretto veniva mangiato arrostito, con erbe della steppa e gallette di farina. La carne veniva consumata nel corso di un pasto frugale,  al quale i convitati prendevano parte già in tenuta da viaggio.

3)      Il rito durante il quale il sangue della vittima precedentemente immolata veniva asperso sui picchetti delle tende (successivamente, quando Israele passerà alla vita sedentaria, il sangue verrà posto sulle porte delle dimore) per preservare uomini, animale e cose dalle forze malvagie.

I tratti nomadi e domestici di queste celebrazioni suggeriscono un’origine antichissima della Pasqua. Se è vero che questi riti corrispondono ai sacrifici che gli Israeliti chiedono al Faraone di poter andare a celebrare nel deserto, allora questa festività risalirebbe a tempi ben più antichi di quelli di Mosè e dell’uscita dall’Egitto.

Il rito degli agricoltori, invece, è la festa degli azzimi (dal greco a-zymos = senza lievito), che segna l’inizio della mietitura. Vengono offerti i primi frutti del raccolto e viene gettato via il pane fatto con le farine dell’anno precedente per preparare delle gallette con la nuova farina, quindi “senza lievito”.

Questa festa durava sette giorni, probabilmente dal 15 al 21 del mese di nisan, mentre la Pasqua si celebrava il 14 dello stesso mese (il giorno prima della luna piena che segue all’equinozio di primavera).

Per questa vicinanza cronologica, col tempo le due feste vengono a saldarsi e già il libro del Deuteronomio ce le presenta unite (Deut 16, 1-17).

DAL RITO ALLA STORIA: IL SIGNIFICATO AUTENTICO DEL «PASSAGGIO»

Nella misura in cui Israele prende progressivamente coscienza del proprio passato, tende a collegare i suoi riti ai grandi eventi della propria storia. Così, il Rito Pasquale, che ha fuso insieme i gesti degli antichi pastori nomadi e quelli degli agricoltori, viene collegato all’uscita dalla schiavitù sotto il giogo del Faraone e diventa memoriale della liberazione del popolo, dell’esodo, l’avvenimento principale della storia di Israele.

La stessa celebrazione degli azzimi acquista una nuova portata: l’eliminazione del lievito vecchio non è più soltanto un rito di purità e di rinnovamento annuale, ma evoca la fretta del pasto consumato prima di partire dall’Egitto, così rapido che gli Israeliti hanno dovuto portar via la loro pasta prima che avesse fermentato.

La Pasqua, dunque, ha acquistato un nuovo senso, indissolubilmente unito alla salvezza donata dal Jahvè al suo popolo.

Questo fa sì che la liberazione dal giogo egiziano venga evocata ogniqualvolta Israele subisce altre schiavitù, come quella assira (710 a.C.) e quelle babilonesi.

Dopo l’esilio di Babilonia (587-538 a.C.), la Pasqua diventa la festa per eccellenza dei Giudei e, pertanto, l’antica celebrazione domestica si trasforma in una festa del Tempio. Adesso sono i sacerdoti e i leviti gli attori principali della cerimonia e le celebrazioni a carattere familiare vengono eclissate dalla solenne festa di Gerusalemme.

LA PASQUA E L’ATTESA DEL MESSIA

Il ricordo e la riflessione sugli interventi salvifici di Dio nel passato, portano Isarele a sperare in un Suo intervento decisivo in futuro, in una liberazione totale dal male, in una salvezza definitiva che deve essere realizzata dal Messia, l’inviato di Dio, l’unto dal Signore.

Sotto la dominazione dell’Impero Romano, alcuni gruppi giudaici si prefigurano questo Messia sotto tratti guerrieri, fomentando movimenti politici nazionalisti che, proprio nel periodo della Pasqua, si risvegliano pericolosamente.

Per questo, all’epoca romana, durante le festività pasquali il procuratore sale a Gerusalemme al fine di mantenere l’ordine in città. Ma «la fede può guardare anche oltre questa agitazione religiosa e preservarsi pura da ogni compromesso: lascia a Dio la cura di fissare l’ora e il modo per l’intervento del Messia che deve inviare».  

LA PASQUA AL TEMPO DI GESU’

E di fatti il Messia arriva, o almeno così professano i cristiani.

«Gesù prende parte alla Pasqua giudaica; la vorrebbe migliore, ma infine la sostituirà portandola a compimento».

Ma come veniva celebrata la Pasqua al tempo di Gesù?

Iniziava in aprile (la sera del 14 di nisan) e durava sette giorni. Ogni giudeo doveva, come norma, andare in pellegrinaggio a Gerusalemme per celebrare questa festa solennissima del calendario ebraico. E così fece anche Gesù.

Secondo il rituale in vigore quasi certamente al tempo, il pasto pasquale veniva preparato nel tardo pomeriggio del 14 di nisan. Durante i seguenti sette giorni, non era permesso consumare pane fermentato e ogni famiglia doveva immolare nel Tempio un agnello o un capretto maschio di un anno e senza difetti. Il sangue della vittima veniva raccolto con cura e poi, con un ramo di issopo (arbusto aromatico simile al cappero), asperso sugli stipiti e l’architrave delle porte delle case.

Successivamente la vittima sacrificale veniva arrostita tutta intera, senza che gli venisse spezzato alcun osso, e consumata dai convitati possibilmente nella sala alta della casa, ornata di tappeti per l’occasione. Un catino ricolmo d’acqua passava di mano in mano per consentire ai convitati di purificarsi prima di mangiare la Pasqua (il termine, infatti, designa non solo la festa, ma anche l’agnello immolato).

Il pasto era inaugurato dal presidente che celebrava due benedizioni su una coppa di vino, la quale veniva poi fatta circolare tra i partecipanti. Mentre circolava, poi, la seconda coppa di vino, il presidente spiegava al più giovane dei convitati il significato dei vari riti: l’agnello è quello il cui sangue ha allontanato dalle case del popolo di Israele l’Angelo sterminatore, prima della fuga dall’Egitto; il pane senza lievito è quello che gli Ebrei avevano portato in fretta fuggendo dall’Egitto, senza avere il tempo di farlo fermentare.

Si cantava, poi, l’inizio dell’Alleluia e il presidente spezzava i pani e li distribuiva ai convitati. L’agnello o il capretto veniva mangiato con delle erbe aromatiche, mentre il pane azzimo veniva intinto nell’haroset, una mistura di fichi e uva cotta nel vino, che simboleggiava i mattoni costruiti da Israele durante la schiavitù egiziana. L’agnello pasquale doveva essere consumato tutto e i suoi resti bruciati prima del sorgere del sole. Veniva poi bevuta la coppa di benedizione, intonata la fine dell’Alleluia e si chiudeva il banchetto con un’ultima coppa di vino.

LA PASQUA DEL CRISTO

La Pasqua Cristiana celebra la risurrezione di Gesù ed è, inoltre, commemorazione del sacrificio del Cristo e anticipazione della festa escatologica, del banchetto nel regno dei cieli verso il quale cammina il popolo di Dio.

Questa Pasqua è la Nuova Pasqua, la Vera Pasqua che sostituisce la precedente, ma che allo stesso tempo è in continuità con essa e la porta a compimento.

È la Pasqua del Nuovo Agnello, Cristo Gesù, che prende il posto della vittima sacrificale dei vecchi riti e istituisce il nuovo pasto pasquale: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo».

È la Pasqua del Nuovo Pane: la carne del Cristo offerta in sacrificio.

È la Pasqua del Nuovo Tempio, del tempio definitivo: il corpo glorificato del Cristo Risorto.

È la Pasqua del Nuovo Esodo, del «passaggio» del Cristo dalla morte alla vita eterna, da questo mondo al Regno del Padre.

A VOI TUTTI, BUONA PASQUA!

IL DIRETTORE

Michele Giustiniano

Riferimenti Bibliografici

AA.VV., Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, ed.Marietti

DUFOUR X.L., Dizionario di Teologia Biblica, ed.Marietti

DUFOUR X.L., Dizionario del Nuovo Testamento, ed.Queriniana

MONLOUBOU L., Breve Dizionario Biblico, ed.Queriniana