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Resina bet

La sala scommesse non era per niente gremita. C’erano solo le solite facce, i soliti cani arrabbiati con le solite sigarette spente, le solite bottiglie di birra, vuote o quasi,  appoggiate  alle sedie e alle quote. La tristezza tutta estiva di chi in vacanza non può andare per mancanza di soldi o per altri motivi, si faceva sentire come un martello pneumatico. Trapanava e scavava gli sguardi dei presenti, li metteva a nudo rivelandone la fragilità. Ognuno di loro tentava la puntata che li risollevasse, quella che nella vita ti può riuscire una volta, o forse due, se hai fortuna. Ma la fortuna, si sa, abita altri appartamenti, altri quartieri: di casa esce poco e, se lo fa, guarda un indirizzario che non cambia mai. Non si mischia alla povera gente, agli “umiliati e offesi”; se ne va in giro in taxi ben vestita, sorseggiando distrattamente una coppa di Moet. Lasciando per strada un odore intenso di Chanel n°5 che ti abbatte come il proiettile di una 45 munita di silenziatore. Il caldo aumentava sempre più, il sudore colava a fiotti  copiosi dalla mia fronte. Col fazzoletto in una mano, cercavo di concentrarmi su quelle maledette partite dell’Intertoto e del campionato finlandese per cavarne qualcosa di buono. Ma nulla, nessuna particolare ispirazione. Se c’è qualcuno che riesce a fregare il banco, a vincere sempre, costui va salvaguardato come membro di una razza in via d’estinzione: non deve far nulla tutta la giornata tranne che comporre sinfonie d’avanguardia e leggere le poesie di Ezra Pound e Garcia Lorca. Quando mi presentai alla cassa, gli occhi della ragazza si fecero tristi. Non ne capisce nulla, ma sa quando la puntata è proprio sballata: incassò i venti euro e io mi andai a sedere. Seguii le partite sullo schermo ed ebbi l’abilità di non azzeccarne manco una. Fumai qualche sigaretta e uscii fuori. Una zaffata di calore magmatico mi stava quasi per stendere, ma mantenni l’equilibrio e riuscii a proseguire. Ero rimasto con pochi soldi in tasca, le chiavi della macchina. Qualche fotografia vecchia. In alto poi c’era il sole che mi faceva compagnia. Andava bene così.

 

 

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