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The purge – La notte del Giudizio

lanottedelgiudizio [1]

 

di James De Monaco
con Lena Headey, Ethan Hawke, Rhys Wakefield, Max Burkholder, Edwin Hodge
Uscita in America : 7 Giugno 2013
Uscita  in Italia : 1 Agosto 2013
Distribuzione : Usa, Francia – Universal Pictures

 

Se l’erba del vicino è  la più verde, lo si può sempre ammazzare.

Sono pochi ultimamente i film la cui trama è riuscita ad appassionarmi, così quando per caso ho visto il trailer de “la notte del giudizio” (titolo originale “The purge”, ben più esplicativo) per un momento mi si sono illuminati gli occhi. La storia parte da un’idea degna delle migliori distopie: nell’America del 2020 un nuovo gruppo di padri pellegrini decide di risolvere il problema della disoccupazione e della criminalità rendendo legale, per una notte all’anno, ogni tipo di crimine. E per ogni tipo di crimine si intende soprattutto l’omicidio. La soluzione adottata, che in sé risolve il problematico  diritto alla vita degli uomini, porta a soluzioni inaspettate. La crisi si risolve, l’economia è fiorente, la criminalità è ai minimi storici e l’occupazione è quasi totale. Con un progetto del genere ci si aspetterebbe di tutto, una chiara messa in discussione della socialità dell’uomo, l’ineluttabilità della violenza in società che si esprime attraverso un represso risentimento, di razza e di classe  tanto che  perfino Hobbes avrebbe drizzato le sue orecchie da pantera di fronte alla possibilità che il suo stato di natura  e la sua  guerra di tutti contro tutti diventasse effettivamente reale per una manciata di ore. Ma l’altezza dell’idea è lontana dalla realizzazione del film. Bisogna innanzitutto dire che la pellicola  è un blockbuster low-cost, girato con un budget di tre milioni a fronte dei 64 milioni guadagnati negli U.S.A. dopo soli 3 giorni di proiezioni. Detto questo, il regista James De Monaco, già autore di Staten Island, e i produttori di Paranormal Activity dopo una veloce enunciazione iniziale del contesto in cui si sarebbero svolti gli avvenimenti, decidono di puntare tutto sul solito meccanismo della suspence, un po’ abusato in questo genere di thriller-horror e che tecnicamente non raggiunge nemmeno i suoi apici. Ed è davvero un peccato perché le carte in regola per un film che spaccasse lo spettatore e lo costringesse, se non a ragionare, quanto meno a sentire il vuoto gorgheggiante sotto la sua posizione di bonhomme, c’erano tutte. Ma la pellicola deve rispettare i canoni del genere e la tensione prende il sopravvento sul  contesto problematico. Certo, nella notte in cui tutto è possibile, il film ci tiene a sottolineare che i primi a morire sono i nullatenenti, gli afroamericani o i vicini arricchiti che destano l’invidia dell’isolato, a dimostrazione che l’incubo di una comunità  perfetta è quello per cui bisogna anche permettere la violenza come arma di risoluzione politica di quei problemi che la società fondata sulla conservazione della vita dei singoli e sui loro diritti per  sua natura ha. Ma i soggetti del film non sono davvero soggetti di niente se non del meccanismo della suspence, che prevale in ogni punto sulla narrazione. Anche nelle scene dove la violenza legalizzata coinvolge i più insospettabili, come il ragazzo di tua figlia o l’educato studente ventenne, vero antieroe del film, il meccanismo del terrore, quello da blockbuster, cioè che deve spaventare ma allo stesso tempo permettere allo spettatore di non perdersi nelle domande della propria angoscia – pena un botteghino  vuoto – prevale su tutto. E alla fine del film viene da pensare  che questi produttori e il regista un po’ siano colpevoli. Nonostante abbia letto in giro che il merito del film sia quello di portare, quantomeno di enunciare attraverso il mainstream il problema della violenza, della paura e dell’odio verso l’Altro in una società tipo in cui rispecchiarsi, non posso fare a meno di pensare che i registi abbiano la colpa di aver gettato un’idea che poteva essere sviluppata con una profondità di cui la nostra riflessione, ora come mai, ha bisogno. Certo poi è che, se si afferisce al simbolico come il film fa, senza però approfondirlo, allora la riflessione si fa più incalzante. Ma basta davvero mettere una mela caduta da un albero nella stanza centrale di un museo per spiegare come è stata pensata la legge di gravità?