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Appaloosa

“APPALOOSA” di ED HARRIS; USA, 08.

New Mexico, 1882. Due pistoleros, Virgil e Everett, vengono ingaggiati come Sceriffi ad Appaloosa un paesotto funestato da un criminale. Tra i due s’intromette una piacente vedova. Il regista, anche produttore e cosceneggiatore è più noto come attore: ad esempio è stato l’onnipotente e misterioso méntore di Truman nell’omonimo film. Qui invece, pur interpretando un infallibile e incottuttibile bounty killer, di fatto si fa menare per il naso da una vedovella arzilla e civetta, nonchè un po’ sullo zoccolesco. Molto più saggio, è il suo assistente: un roccioso, ma umano e non insensibile Viggo Mortensen, che, anzi, pur parlando ancor meno del suo datore di lavoro, è quello che capisce di più, prendendo le scelte giuste. Il film appartiene al redivivo genere western, che sta rivivacchiando. Pur non facendo sfracelli al botteghino, quanto a gradimento del pubblico, mantiene una sua onesta rappresentatività. In realtà, molti polizieschi e action movies odierni non sono che western camuffati, in cui al posto dei cavalli ci sono le auto. Questo è il genere Usa per antonomasia: è l’epica “primitiva” (come le Chansons de Geste medievali), ma spesso raffinata,  che “canta” la creazione della stessa nazione, che si è edificata sulla visione dei valori di quell’epoca. Ha avuto una vitalità figurale tanto forte che ha permesso ad autori di altri paesi di utilizzarla come scenario allegorico, come ha fatto il nostro Sergio Leone, di cui ricorre il 80enario della nascita. Ma così facendo ne ha decretato la fine: solo che questo crepuscolo è stato illuminato dai grandi capolavori di Sam Peckimpah (“Mucchio Selvaggio” e altri). C’è stato lo sprazzo di puro genio di Clint Eastwood (“Gli spietati”, 92, premio Oscar), ma anch’esso è un film notturno. Harris ha fatto la scelta giusta. Egli ha narrato in understatement: il suo è un tono semplice, che va diretto al nocciolo. Non ha preso come scenario i grandi spazi, perché il suo orizzonte visuale è più contenuto, o più mediocremente limitato. In fondo lo sbattersi di quelle persone contro quel criminale è un fatto quasi privato: non c’è nessuna particolare tensione etica. Le mosse narrative sono lineari e quasi obbligate: l’azione ci è somministrata con efficacia drammatica ed espressiva. Ma non c’è nessun ricerca di una maestria nel montaggio, o di inusuali effetti drammatici. Questa semplicità è però segno d’intelligenza. Perché ha costruito un film su credibili psicologie: sua, del socio e del loro rapporto con la donna. Noi assistiamo allo scontro di persone umane in un ambiente storico determinato.

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