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Capovolgere la giustizia. “Carcere” extrema ratio

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Capovolgere la giustizia. “Carcere” extrema ratio!: in tanti, il primo marzo, alla prima lezione del corso di formazione Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, presso la sede dell’associazione Liberi di Volare, in Napoli alla Via Trinchera, nr 7. Relatori don Franco Esposito, direttore dell’Ufficio di Pastorale Carceraria dell’Arcidiocesi di Napoli, il professore Carmine Matarazzo, docente della PFTIM e direttore del corso, e padre Francesco Occhetta S.I., padre gesuita della rivista La Civiltà Cattolica.

Il carcere come extrema ratioCosa significa? La legislatura sta valutando la possibilità di prevedere come pena principale,  in luogo o accanto alla reclusione in carcere, la detenzione domiciliare. Inizia così a prendere corpo un sistema penale che non ha più il carcere come fulcro ma diviene extrema ratio, evitando l’ingresso della persona colpevole di reato in carcere, e la detenzione domiciliare come unica alternativa al carcere. Certamente una sanzione meno afflittiva del carcere, ma pur sempre privativa della libertà personale. Ciò che conta è assicurare, durante l’espiazione della pena nelle modalità della detenzione domiciliare, la possibilità di svolgere attività, prima di tutte quella lavorativa, che, come dimostrato dagli studi condotti negli ultimi anni sui rapporti tra lavoro in carcere e recidiva, rappresentano la più efficace garanzia di recupero alla società dell’individuo.

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Padre Francesco Occhetta: <<Si capovolge la giustizia quando ci si chiede: chi è colui che soffre? Qual è la sofferenza? Chi ha bisogno di essere guarito? Giustizia riparativa o riconciliativa, che non sostituisce le altre, ma vuole rifondarle. È una scelta di cultura giuridica e sociale che parte dal dato che dei circa 1.000 detenuti che escono dalle carceri ogni giorno, circa 690 ritorneranno a delinquere. La riabilitazione prevista dalla Costituzione all’art. 27 va ripensata. E la giustizia riparativa è un modo significativo. Mi chiedo: ha un senso lasciare in carcere giovani prostitute africane vittime della tratta, oppure persone senza dimora per aver rubato un cappotto o dormito in un’auto per evitare di passare la notte al freddo? Qualsiasi tentativo di riforma deve partire dalla considerazione degli ultimi e dei più indifesi. È per questo che, da anni, ho proposto in più di uno studio pubblicato su La Civiltà Cattolica, di depenalizzare i cosiddetti reati bagattellari, per alleggerire i costi e diminuire il carico della giustizia penale. Si tratta di reati che, per la loro minima lesività, rivestono una minore rilevanza sociale e possono quindi essere repressi con sanzioni contravvenzionali o amministrative. Non si tratta di forme di indulgenza o di falso buonismo, ma di strumenti capaci di migliorare l’esecuzione penale e rendere la pena conforme alle finalità rieducative previste dalla Costituzione. Il binomio del servizio della fede e della promozione della giustizia, unite insieme in una sinergia a favore di una giustizia restaurativa, come forma di riconciliazione>> .