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Carmine Valentino Mosesso, La terza geografia – Nota

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La poesia terragna di Carmine Valentino Mosesso (1994), giovane poeta di Castel del Giudice, piccolo borgo dell’Alto Molise, si immerge a piene mani, non solo nella cultura del suo paese, ma in una dimensione di vertigine di terra, appunto, che da una parte, rintraccia il tempo delle stagioni, la gente dalla voce bassa, la religione della pioggia, dall’altra rimanda a una dimensione arcaica e archetipica, con la «sorpresa di un miracolo» e dove il paese-patria diventa grembo, odore, dettaglio universale, liturgia e dolore.

La poesia, dunque, permane in una sorta di descrizione prospettica che preferisce l’enumeratio, la composizione della scena, la fame delle nuvole in viaggio e il disegno sulla luce.

Il suo paesaggio è una via di occhi che afferma la composizione del mondo, la ricerca dell’aria che proviene dalla terra, dalla gente, dallo stupore del mattino, dal fiore di donna, dal respiro:

«Esco di casa per stanare il rifugio degli idiomi, / la banca dei dialetti, / esco a dar la caccia all’ossigeno che ingrassa i campi. / Per parlare non è sufficiente seminare parole già / dette: / parlare è impastare la lingua di Dante con il volgare / di un quartiere, / l’oratoria contadina con la schiuma di un arcipelago / di case. / La semente va rinnovata spesso per non stancare il campo / e lo stesso vale per la lingua. / L’universo ha scelto la nostra bocca per parlare / non si può dire a un novizio ciò che si dice a un anziano».

O ancora: «Io terra, io centro, chiave, rovo, verme, io periferia / abitare un luogo è diluirsi un poco con se stessi / perché è da sempre che viviamo dentro al mondo / ma in corpi diversi».

L’essenzialità della lingua accompagna la composizione come fieno. Tutto l’iter poematico si compone di esattezza e descrittività, per cui la rappresentazione diviene limpidità trasparente che raccoglie l’oblio delle voci, il sussurro che abita il tempo, lo stravolgimento tecnologico, il frammento che vaga nell’aria, dove la terza geografia è una nuova disposizione del mondo, preservata e solenne, come un assaggio di neve o la vigilia del giorno: «Bisogna entrare nel silenzio dei paesaggi / farci polvere, preghiera, risalire al tarlo, / il dialetto planetario è scritto nel silenzio, / la nostra unica cura sarà la vicinanza».

Mosesso sembra inseguire la trama umbratile della luce, il tempo globale, la potenza umana del lavoro che plasma e dà vita, la lingua antica, la durezza arcaica di ogni genesi, il quartiere e le rondini alla finestra.

La vita come dono, che si porge, come i colori inventati da Dio o l’adolescenza del grano, il sogno degli angoli, il cuore che cresce nel petto nella preghiera dei paesi, nel loro sperduto affioramento: «Per capire un paese / devi stenderti nelle cantine, / fare il nido nei silenzi, / lasciar affiorare i canti che hai dentro».

Essi incrociano storia minima e storia universale: «Prendete il vostro corpo, / spezzatelo col pane, verranno fuori zolle, / grani, fango e reni, / gli ingredienti antichi della nostra terra».

Poi diventano cartografia e fiato, nodi sottili, incendio flebile. Si annusano sassi per tornare a casa, si guarda la piazza e i dirupi della terra, la linea umana, il ricordo, i fermenti dell’appartenenza, per conoscere, infine, ogni detrito di luce, la medicina del paesaggio, fino alla primavera dello sguardo.

 

Mosesso C.V., La terza geografia, Neo Edizioni, Castel di Sangro (Aq) 2021, pp. 112, Euro 12.

 Mosesso C.V., La terza geografia, Neo Edizioni, Castel di Sangro (Aq) 2021.