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Enrico L’Ultimo al Teatro Civico 14

L’ultimo oggetto di ogni serie è merce preziosa da serbare nella cassaforte dei collezionisti. L’ultimo giorno dell’anno è il più celebrato dal frizzante delirio di quanti credono che la fine sia solo un nuovo inizio. L’ultimo treno è un destino da cogliere per chi riesce nell’intento di afferrare al volo la sua carrozza, ma è pur sempre quel desiderio di evasione che attanaglia chi si fa sfuggire la vita da mani che non riescono a stringere, da piedi che non ce la fanno a correre, da volti che non si possono nascondere. Eppure, per farlo, un modo ci sarebbe: è quello di indossare una maschera, o anche più travestimenti, a seconda dei pensieri, degli umori e degli amori del momento. Tutto è un gioco di ruoli per il genio Pirandello, e Siano bravi imperatori e Papi, e oggigiorno, (giacché ci sono), anche i vari papi con la p minuscola, a indossare le rispettive maschere di scena. Se lo dice Enrico IV Imperatore di Baviera, evidentemente c’è da crederci. Eccome. Se lo afferma un nobile nella sua dimora durante una festa in maschera, c’è da scherzarci sopra. Se lo asserisce l’ultimo psicolabile rimasto in una struttura residenziale a rischio chiusura, c’è da legarlo, assecondarlo e far in modo che si curi, ma non troppo però. Non sia mai lui guarisca: gli altri potrebbero poi impazzire, una volta costretti alla cassa integrazione, con mutui insolubili e famiglie sulle spalle. Dunque, quale miglior fuga se non quella dalla realtà per imboccare la via della pazzia? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi!…. Oggi così e domani chi sa come! Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più... Lo spettatore, invece, si tiene ben saldo ad un soggetto rivisitato, ma comunque aderente all’ossequio pirandelliano per il funambolico filo che divide follia e razionalità. L’imponente presenza scenica di un Roberto Solofria, re e finto squilibrato, e la verve accattivante dei suoi pazzi inservienti Antimo Navarra, Domenico Santo e Rosario Lerro, sono la chiave ben oliata che entra nella mente del pubblico del Teatro Civico 14 di Caserta, e non può non scassinare il fortino di benpensanti certezze e imbarazzanti scheletri borghesi. Siamo tutti pazzi? Oggi no. Forse domani si, e viceversa. Avremmo tutti prima o poi bisogno di una deliziosa Ilaria Delli Paoli psicologa che si schiaffeggia pur di entrare nella parte fittizia di colei che acquiesce. La chaise longue nera non serve. E neppure la lampada da interrogatorio. Ci pensa una scenografia impeccabile, fatta di lanterne a manovella e carriole da ferro vecchio, a simulare il caotico ordine e la luminosa oscurità di coloro che vivono reietti, a catturare gli astanti in un vortice di appagante scompiglio interiore.

Tanto per la cronaca: Enrico IV, il nobile mascherato, e l’ultimo dei mentecatti, sono sempre la stessa persona. Tutto vero? Si, ma solo sul palcoscenico. E se non ce ne eravamo accorti, vuol dire che loro sono stati egregi nel recitare e noi altrettanto bravi a cascarci.

 

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