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Finestre sul Natale (seconda puntata)

Il grande scrittore  lombardo Eugenio Corti si interrogava, nel suo racconto “Apocalisse 2000”, sulle macerie che il secolo precedente aveva lasciato in eredità, muovendo verso una attesa fiduciosa che un tempo nuovo, sebbene magmatico ma intriso di una Speranza, portasse alle nuove generazioni. Una sorta di impeto ridestato. Il Natale è un evento che ha sempre ridestato questo impeto. Non solo per la vitalità che ne deriva, ma proprio perché è una sorta di attesa vigile di un avvenimento. Nell’antologia Notte di Natale. Quindici storie sotto l’albero (Einaudi – 2010 - pp.324), il paesaggio natalizio acquista di volta in volta contorni e armonie ora grevi ora leggere; può accadere l’irrisolto, l’impensabile, il miracoloso. Il freddo e la fame possono invadere le esistenze come cani randagi e la neve coprire ogni cosa. E’ il dono sempre velato di malinconia che colpisce gli angoli dell’esistenza. La rassegna degli autori è vasta e ben ampia in ogni linea che disegna un quadro preciso: Hoffmann, Andersen, Stifter, Gogol’, Gasiceli, Dickens, Dostoevskij, Maupassant, Van Dyke, Anstey, Le Braz, Hume, Cechov, O. Henry, Yeats.  Occhi sul Natale che sembrano aprirci le porte dei loro mondi, dei loro misteriosi anfratti di gioia e solitudine accesa.

Sono voci erranti, quelle degli scrittori in quella notte, quasi che la loro dimensione non appartenesse solo all’orizzonte accennato o descritto ma che sconfinasse in una magia trasognata e vissuta. Dino Buzzati ha dedicato a questa festa molta intensità di intenti e di aneliti. Lo ha descritto nell’asciuttezza sintetica del suo scrivere, lo ha visto in un’attesa da non credente che ricerca Dio in ogni angolo, spasmodicamente. Di questo si occupa il libro della giornalista e scrittrice, esperta di Buzzati, Lucia Bellaspiga, E se poi venisse davvero? Natale in casa Buzzati (Àncora - 2010 - pp.96) che, con consueta padronanza e competenza, ci fa addentrare nella particolare religiosità, sottotraccia del Nostro: le sue domande metafisiche tra colpa e peccato, tra male e bene, il mistero dell’oltre cercato e mai trovato, ma fermo in quella <<data più grande della storia>>. Cosa cercava Buzzati nel giorno della nascita di Cristo? Un “oltre” che si distaccasse dalla tipica consuetudine che si addensa in una festa, qualcosa che riempisse il silenzio di un grido taciuto. <<Se non credi perché Lo preghi?>>, lui risponde <<Non esiste fino a che non ci credo…ma se Lo chiamo verrà>>. C’è ricordo vivido d’infanzia nel Natale buzzatiano, il dono a volte superfluo di un consumo senza pace, ma mai moralismo mordace. Un altro grande scrittore del nostro Novecento, a volte dimenticato, ma importante come un’onda anomala è Giovanni Testori. In una edizione limitata Un bambino per sempre. Meditazioni sul Natale, uscita per i tipi Interlinea (2007, pp.96) nella collana Nativitas nel 2007, a cura di Fulvio Panzeri e Valerio Rossi, Testori scrive: <<Ci siamo dimenticati e vergognati anche del Natale. Invece, questo è proprio il momento in cui l’uomo domanda di ritrovare la propria nascita” ne“l’ombra di una crocifissione e il sangue di un assassinio”>>. Attraverso il senso dell’innocenza perduta si riscopre la radice della tensione umana per ritrovare <<dentro di noi il bambino che il Padre ha creato>>. L’origine dell’essere al mondo è una realtà data, ma con lo sguardo di un uomo che porta tra le mani il bagaglio di richiesta e offerta all’Amore che fa nascere di nuovo.

Fëdor Dostoevskij, nel suo Feste di Natale (Interlinea – 2007 - pp. 45, a cura di Alessandro Niero) propone il ritratto di una condizione tragica di prigionia in un carcere russo durante le feste natalizie, in una dimensione spazio-temporale, così vicina alle Memorie da una casa morta. L’umanità possiede, in queste pagine dense, una condizione di trauma e di riconquista della propria specificità e lo spazio angusto del carcere ridesta un nuovo contatto con una nuova vita, uno spiraglio di luce in una tenebra spessa. <<Per i detenuti il rispetto del giorno solenne assumeva addirittura le forme di un certo qual decoro; pochi gironzolavano; tutti erano seri e come impegnati in qualche cosa, sebbene molti non avessero quasi nulla da fare. Ma anche gli oziosi e gli sfaccendati si sforzavano di mantenere un certo contegno… Oltre a un’innata venerazione per il giorno solenne, il detenuto inconsciamente percepiva che, osservando la ricorrenza, era come se si mettesse in contatto con il mondo intero…>>. Anche uno dei più grandi poeti del Novecento, Clemente Rebora in Il tuo Natale. Lettere, poesie, pagine di diario e inediti (Interlinea, collana “Nativitas” – 2005 - a cura di Roberto Cicala e Valerio Rossi, con incisioni di Mauro Maulini, pp.139) offre il suo <<sperduto bisbiglio che fa di poesia respiro>> - come scrive il poeta Davide Rondoni - al Natale e all’Epifania, in una silente religiosa meditazione: <<Gesù… dammi il tuo Natale / di fuoco interno nell’umano gelo>>. Oppure in una sua lettera così vivida di fraterna partecipazione del 29 dicembre 1907:  <<Finire l’anno senza un richiamo affettuoso alle anime elette e degne, per sentirle quasi vicine ed affrontare questa imaginaria vita nuova insieme, non mi piace; e vorrei, Nino caro, vivere con voi una grande bontà bene auspicante, e una profonda saggezza di quiete in codesto simbolico trapasso; invece siamo lontani, e un chiacchierio grullo di brindisi posticci rintrona il nostro capo, togliendoci la saggia tranquillità. Io tuttavia veggo diritto nel tuo spirito e, come scorgo tanta bellezza, m’intenerisco; ma io mi rifiuto di scarabocchiarti gli inchinevoli auguretti di occasione; tra anime né facili né mediocri essi sono perenni e taciti, e non conoscono cerimonie. Ricordami ai tuoi. Tu, Nino, mi sei ora molto nell’anima>>.

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