Print This Post

Giustizia riparativa e sistema penitenziario, in cattedra i Cappellani

Prima di correre dietro al colpevole, vai incontro alla vittima

20180308_161537

Il Documento Base in ambito penitenziario e il ruolo del cappellano carcerario: lezione due, 8 marzo 2018, alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, sezione San Tommaso d’Aquino, a Napoli, al viale Colli Aminei; proprio in tanti al corso di formazione: Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico. Relatori: don Agostino Zenere, già Cappellano del Carcere circondariale di Vicenza, e don Virgilio Balducchi,  già Ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane.

Gli argomenti trattati nella lezioneIl ruolo del cappellano nelle carceri. Si stratta di un ruolo  indubbiamente complesso e che richiede, oltre ad una particolare preparazione umana e religiosa, la disponibilità a trascorrere del tempo dietro le sbarre per incontrare, parlare e conoscere i detenuti. La sua presenza non è soltanto legata all’annuncio di Cristo, ma ha anche un risvolto di dimensione umana, di conforto morale e di un rapporto personale con il detenuto. L’opera del cappellano è essenzialmente condivisione della pena ed il rapporto personale con il detenuto diventa, per il recluso, una relazione con la libertà. Non solo, il cappellano promotore e difensore dei diritti dei reclusi. Egli si occupa oggi in modo specifico della cura del culto religioso, del sacramento della confessione ma svolge anche  compiti di assistenza sociale e materiale in questo aiutato dai tanti volontari. Il documento base: è il documento con cui la Chiesa promuove in carcere, la vita buona in Cristo, la buona notizia, quella che porta alla libertà. La Chiesa compie questa missione anche attraverso le azioni che propongono fuori dal carcere cammini concreti di risocializzazione e di riconciliazione. Essa, di fronte al problema del male e nei confronti delle persone coinvolte, ha espresso al suo interno e proposto sempre all’umanità dei cammini di liberazione fondati sull’amore misericordioso di Dio Padre. Percorsi vissuti in carcere attraverso operatori della pastorale che formano lì la comunità cristiana: persone inviate dai vescovi e dalle stesse comunità cristiane, persone detenute che condividono responsabilità di servizio ecclesiale ed operatori dell’istituzione che hanno a cuore il cammino di fede.

 20180308_165820

I relatori della seconda lezione, nei loro interventi – don Agostino Zenere: <<Il carcere è l’ultima istituzione totale rimasta nei paesi a democrazia evoluta. Abbiamo chiuso gli ospedali psichiatrici, gli orfanatrofi, persino i seminari. Il carcere è e sta diventando un’altra cosa: si sta umanizzando, sta crescendo e, come ogni crescita, vive i suoi passaggi con sofferenza, i suoi sbalzi di progresso con momenti di incomprensione e grandi insicurezze. Il cappellano, figura cardine nella nuova dimensione carceraria, deve stare al fianco e al servizio dei bisognosi, facendo da mediatore. Pensiamo e lavoriamo insieme per un’azione pastorale nelle carceri, come forma di corresponsabilità>>;  don Virgilio Balducchi: <<Come cappellani abbiamo formato di un documento base nell’ambito della giustizia penale. Tra le azioni, che riguardano le persone e le famiglie, vanno organizzati: luoghi di ascolto della sofferenza delle vittime; operatori preparati; guide spirituali per accompagnare i cammini di perdono; accoglienza solidale nelle celle; vigilanza sui tentati suicidi; custodia dei più deboli; incontri con le persone agli arresti domiciliari; centri di ascolto per il momento dell’entrata in carcere; incontri di gruppo e personali con gli agenti di polizia penitenziaria; formazione comune. Nei rapporti con le istituzioni bisogna fare squadra con altri attori sociali ed essere portatori della buona notizia nelle carceri. Quale è la buona notizia? La libertà>>.