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I luoghi dell’io: Robert Lowell

Formatosi negli anni tragici della Seconda Guerra Mondiale, Robert Lowell (1917-1977), designato come sesto poeta laureato dalla Biblioteca del Congresso nel 1946 e vincitore del premio Pulitzer nel 1947 e nel 1974, rappresenta una delle voci più significative della poesia americana del secondo Novecento.

Nell’opacità traboccante delle sue immagini, nella turbolenza delle sue visioni, in bilico tra bene e male, si assiste alla densità di una materia viva, che si nutre di un lessico inusuale, di una riflessione sfarzosa.

Padre della poesia confessionale, si è detto, laddove se Walt Whitman era il poeta dell’io epico, Lowell rappresenta il canto di un’esperienza diretta, di decifrazione dell’istante.

È un poeta di rimandi e luoghi accesi. Il suo io esperienziale e auto-espressivo ha ripreso l’antico (i classici nella loro franchezza, la Bibbia, Auden, ma anche T.S.Eliot e Pound) in una luce integra, personale e diacronica che fornisse materiale per combattere la sua provvisorietà, il suo canto rauco.

Lowell si è servito della classicità per indagare il suo tempo convulso e vitale, lucidare la trama decadente e corrotta della sua epoca. La sua creazione e costrizione.

Nella prima fase della sua poesia, condensata in Land of Unlikeness (1944) e poi in  Lord Weary’s Castle (1946) e in The Mills of The Kavanaughs (1951), la percezione dell’acutezza del male è contenuta in una voce che si oppone alla stasi, alla chiusura delle abitudini vincolanti, come Tradizione, Capitalismo, Calvinismo, Imperialismo e Ricchezza, ma non riflette moralismo, bensì uno sguardo inciso nella storia e nel ritmo della parola.

“Il Cimitero dei quaccheri a Nantucket” è un’elegia di una rievocazione assoluta e distruttiva, alla quale solo Dio sopravvive, rimanendo in «the rainbow of His will», nell’arcobaleno del suo volere.

L’intensità della sua espressione è perpendicolare al dramma dell’io, al suo scavare in una ricerca di simboli, e all’accettazione dell’esistenza, in una dolcezza che sferraglia dubbi, rimpianti, timori.

L’epica rappresenta il fondo di una circostanza e di una geografia di visione e di dramma. Boston, Nantucket, Concord, Harvard, il Maine «vicino all’oceano» e infine New York sono il suo spazio di ansia e sacrificio.

In Life Studies (1959), ad esempio, il coro della storia della sua famiglia e dei suoi rapporti, vissuti in immagini care e lontane e nel girone dell’ansia eterna, si offre all’indefinibilità, come annota Massimo Bacigalupo: “L’atteggiamento di Lowell nei confronti dei famigliari è, psicoanaliticamente, complesso, indefinibile. Da una parte tende uniformemente a prendersene gioco, dall’altra dedica loro un intero libro presumendo in qualche modo che le sconfitte professionali e matrimoniali del Comandante Lowell (come viene ironicamente chiamato il padre, ufficiale di marina) debbano interessarci”.

Il passato rappresenta lo snodo di una liberazione, di una difesa dalla disgregazione delle inquietudini e delle agitazioni dell’anima. Ma la sua poesia appartiene alla provvisorietà, al nucleo sconsolato dell’epicità e al legame nostalgico tra passato e presente: « Tutto ritorna. Lo zio Charles appare,/ con un berretto azzurro, come un uccello.».

Nei tratti brevi e identificativi di personaggi, nei loro dettagli inquietanti e sfuggenti,  come la statua di Hooker o l’altorilievo di Augustus St. Gaudens, fino a raggiungere il reggimento di Robert Shaw, esiste la sua pagina celebrativa, ironica e metaforica.

Una trasparenza di registro e vitalità che, nelle campiture umane, scova ironia e dolcezza, ma che sorregge ombre, tenta salvezze, come in “Water”, delicata franchigia si sogno ed elegia, che nasconde il suono della durezza della roccia, della chiusa di sentimenti e prigioni d’iridi.

Scrive Rolando Anzilotti: “Il mare (della vita) porta via a scaglie la roccia che dovrebbe rimanere salda e indistruttibile; il tempo, l’immersione prolungata, lascia le incrostazioni sul corpo della sirena, cioè la donna, la compagna, che sogna di togliersi di dosso quei molluschi dell’abitudine. Il desiderio di tornare, come due anime fuse in una, sulla roccia indistruttibile, si spegne; l’acqua fredda dell’indifferenza trattiene tutti e due”.

Il rapporto umano visto nel rilievo del fallimento, quando nel fondo dell’anima: «Alla fine, / l’acqua era troppo fredda per noi».

Il pubblico e il privato, l’oggettivo e il soggettivo, l’io lirico che sostiene l’epicentro della sua epicità si incontrano, divenendo materia universale e dimostrando, come sostiene Seamus Heaney, il ruolo del poeta come coscienza.

La memoria converte l’esistenza in pagina scritta, trova il sommario ampio e duro del male della storia, attraverso dittature, esili e omicidi politici.

Si tratta di guardare alla complessità morale del poeta, al suo bisogno di rinnovamento e ricostruzione, al filo che sottende la sua anima agli abbracci sempiterni del passato, alla interscambiabilità di una vista doppia che unisce i suoi ponti fino al presente, dando luogo a un’operazione di riscrittura, di rifacimento pieno.

Ristampando il suo rapsodico Notebook, taccuino e quaderno di appunti degli anni ’60, Lowell si rapporta al suo testo come un manoscritto, con le sue contorsioni e le sue esplosioni temporali.

La donna incontrata in un nightclub si riappropria delle epoche, conosce la vertigine del desiderio, sospesa tra Tiziano, Renoir e Cleopatra.

Appunta i suoi  avvenimenti, le sue esperienze, i sentimenti concavi nel freddo e nel fuoco dei rimuginamenti, quando la sua anima si fonde in un unico poema di origini ed eredità. Sono un unico fiume  che impagina il mondo, lo ridefinisce.

Le sue nostalgie epiche affiorano fin nel suo ultimo libro, Day by Day (1977), ricolmo di echi virgiliani e ungarettiani, e rappresentano un tessuto di impossibilità, di delusione, e come evidenzia J.D.McClatchy: “Come Pound, egli percepiva il tempo come un [...] raggruppamento di stati mentali che attraversa i secoli, oscurato dalla follia, della lussuria, dall’ambizione, dalla vecchiaia, dall’arroganza e dall’ebbrezza del potere”.

L’identificazione con Enea, uguale al Pufrock di T.S.Eliot, è la sua impronta, il fuoco della sua controversia che redime la contingenza e la caducità.

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