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Julieta

film almodovar julieta

LA TUA ASSENZA MI RIEMPIE TOTALMENTE E MI DISTRUGGE…”

J. , vedova, è ossessionata dall’assenza della figlia: in un diario tenta di ricostruire la loro storia, e darsi dei perché. Il regista di questo film (SPA, 16) è il mancego Pedro Almodòvar: uno dei maestri del cinema europeo, e il film mi è piaciuto. Al contrario di buona parte (non tutta) della critica presente a Cannes. E’ tratto da opere della canadese premio Nobel Alice Munro, e si sarebbe dovuto intitolare “Silencio”. E’ girato non in Canada, ma a Madrid, fredda nelle sue linee, dove Julieta è come una zombie, priva della presenza, prima del marito, poi della figlia; e sul mare della tempestosa, iridescente Galizia, per la sua precedente storia col marito. E’ un regista, e sceneggiatore, qui, assai controllato, lontano, come afferma, “dalle commedie esuberanti che giravo (prima) (…). Invecchio e con l’età privilegio l’interiorità”. E il grottesco spiazzante e paradossale, pur nel mélo, così almodovariani, sono assenti. C’è la frase chiave che Julieta dedica a lei: “La tua assenza mi riempie totalmente e mi distrugge”. E’ un ossimoro la cui concretezza esistenziale percorre unitariamente tutto il film. E non è in conflitto con la primissima sequenza, che è su un disegno fortemente, ma ambiguamente erotico, delle pieghe della sua sottile vestaglia. Le colpe sono ricostruite sulle presunte responsabilità del suicidio di un estraneo in treno e dalla morte del marito: ed investono anche la figlia. La Julieta matura e la giovane sono attrici diverse: ha così voluto plasticamente drammatizzare la potenza trasformatrice del dolore. Ma Julieta non ha la generosità nell’accogliere l’amore del padre per la giovane sposa e i nuovi figli: ed è questa sordità alla misericordia verso gli altri, la base e il tramite dell’oscura insensibilità verso se stessi.