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La straordinaria eredità spirituale di San Paolo

  di  Antonio Colasanto 

        San Paolo, vero maestro e apostolo delle genti, è un pensatore cristiano molto fecondo e la sua dottrina e il suo esempio sono garanzia e stimolo “per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi  e per il ringiovanimento della Chiesa”. Con queste parole Benedetto XVI, parlando della morte dell’apostolo Paolo, ha concluso il ciclo delle  20 catechesi che ha dedicate a questa immensa e gloriosa figura che giganteggia nella Chiesa “ben al di là della vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale”.

           Gli  Atti degli Apostoli  non ci parlano della fine, del martirio di Paolo, ma solo delle persecuzioni subite. 

       La prima testimonianza esplicita, ha ricordato Papa Benedetto, ci viene dalla metà degli anni 90 del I secolo. Si tratta di una lettera che la Chiesa di Roma con il suo vescovo Clemente I scrisse alla Chiesa di Corinto e dopo aver detto del martirio di Pietro si legge : “"Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l’araldo di Cristo nell’Oriente e nell’Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all’estremità dell’occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza" (1 Clem 5,2). La pazienza di cui parla è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal. 6,17).

     Successivamente, Eusebio di Cesarea, nel IV secolo, parla dei “trofei” dei due apostoli, ossia dei due monumenti sepolcrali che ancora oggi “veneriamo, dopo due millenni, negli stessi luoghi”. E’ interessante rilevare, ha sottolineato Benedetto XVI, che i due grandi apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica riferisce di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell’ impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma.   

    Ben presto le lettere di San Paolo sono diventate nutrimento della Chiesa, sono entrate nella liturgia dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è stata determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa presenza il pensiero dell’apostolo è diventato da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.

    I padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti – ha detto Benedetto XVI – delle lettere di San Paolo e della sua spiritualità Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti.

    Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paoloai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte.

     San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto anche sette memorabili. Panegirici.

   Sant’Agostino dovrà a Paolo il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la grande teologia cattolica e anche quella protestante di tutti i tempi.

   San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell’esegesi medioevale.

    Una vera svolta si ebbe nel secolo XVI con la Riforma protestante. Lutero è stato un grande studioso di Paolo.“Il momento decisivo nella vita di Lutero fu il cosiddetto «Turmerlebnis», (1517) nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione.” Il Concilio di Trento dal 1545 al 1563 interpretò, poi, in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea della tradizione cattolica la sintesi tra legge e vangelo.

    Il Papa, poi, parlando dei progressi dell’esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, ha detto che crescono anche le convergenze tra studiosi cattolici e protestanti realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell’ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II. 

 

 

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