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L’ARTE DI VINCERE

La rivoluzione sta investendo anche il calcio: uno dei primi provvedimenti della famiglia regnante di Abu Dhabi – proprietaria del Manchester City – è stato l’ingaggio di un’équipe di statistici.

Il linkage matematica-informatica applicato al calcio sta incidendo, in Inghilterra, sempre più pesantemente sulle strategie di mercato, sulle scelte tecniche degli allenatori, sugli schemi in campo.

Il baseball non è il calcio. In quello che è, probabilmente, il più cervellotico degli sport le statistiche hanno un valore assoluto. Lo intuisce più di chiunque altro Billy Bean, general manager degli Oakland Athletics, squadra che, nel 2002, non potendo contare sui budget stratosferici di team come i New York Yankees, punta tutto sul giovane economista Peter Brand, giungendo a mettere su, a colpi di algoritmi complessi, una compagine vincente.

Con un azzeccato Brad Pitt a vestire i panni di un uomo che proietta sulla sua squadra rimpianti, frustrazioni, desiderio di rivalsa personale e professionale, il film di Bennett Miller (ispirato al saggio di Michael Lewis) coinvolge, avvince, emoziona e restituisce una dimensione, quella etica, ad un sport che in termini di investimenti, dinamiche di potere e disumanizzazione sembra aver perso, al pari del “nostro” calcio, la sua ragion d’essere.

Troppo defilato il ruolo assegnato a Philip Seymour Hoffman, il cui eccezionale talento poteva essere maggiormente valorizzato, con una parte diversa da quella dell’allenatore reazionario che poco può (e poco vuole) contribuire al successo di un team guidato quasi solo dai numeri.

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