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Le solitudini di Antonio Machado

Sebbene inclassificabile e non schematizzabile in nessuna corrente a lui coeva – dal Modernismo al Novantottismo-, Antonio Machado (1875-1939) rappresenta la foce chiara di un’inquietudine e di un mito.

Nato a Siviglia nel 1875, sin da giovanissimo, con pochi soldi in tasca, partecipò alla vita artistica di Madrid, imbattendosi nelle figure di Unamuno e Jimenez.

Insegnò francese presso le scuole secondarie di Soria nel 1907, dove conobbe colei che diventerà sua moglie: Leonor Izquierdo, immagine di grazia e perdita. Come quando morì, dopo una lunga malattia, nel 1912, anno dei Campos de Castilla, conoscendo la zona incontaminata della solitudine.

Iniziata la guerra civile, Machado, a favore del governo repubblicano, fu costretto, dopo infinite peregrinazioni a stabilirsi a Barcellona, riparo per coloro che si opponevano ai golpisti.

Il paesaggio di Machado percorre lo spazio intimo del simbolo. In quel tempo, in limine,si scorge il pronunciamento della natura che pone il suo lembo all’interiorità, al frammento memoriale di un approdo, di una familiarità domestica.

La casa di Siviglia è l’inizio di una foce di andirivieni di io e Natura, che amano mostrarsi nel teatro di un mondo che si compone.

Si misura il canto fertile di uno scenario di varchi interni, piazze sole di sole, “mostrazioni” di acque, tramonti, stagioni, abbandono di giardini, antichi parchi.

Questa “mostrazione” è il fenomeno di una lontananza e di un’appartenenza all’immagine, come scrive Gabriele Morelli: “ogni dato, liberato del suo peso soggettivo, configura un ampio registro simbolico che traduce stati d’animo ricchi di inquietudine e mistero”.

L’immagine di Machado percorre il viaggio “dall’Uno all’Altro”, come annota l’apposizione di Josè María Valverde alle scene improvvise del poeta, al suo dramma di sfarzo e gioia.

L’io cerca ricostruzioni, percorre frammenti di comunicazioni, sipari di relazione con l’alterità che scompone e mette a nudo, provoca la profondità dell’essere, si immerge nei veli e nei voli della solitudine.

Che scaturisce nel vagabondaggio della reverie, nei movimenti dell’anima verso l’assoluto, nel proscenio di un dialogo che approfondisce il suo animo e lo irrora.

Il canto dell’autobiografia inscena cammini, come in Soledades, disegno ed emblema di una connivenza che lega passato e presente, subisce varianti e arricchimenti: «Io credevo che l’elemento poetico non fosse la parola nel suo valore fonico, né il colore, né la linea, né un complesso di sensazioni, bensì una profonda partecipazione dello spirito. Poesia, parabola essenziale del tempo. Al poeta non è dato pensare fuori dal tempo perché egli pensa la sua stessa vita, che fuori dal tempo è nulla».

L’accoglimento della realtà è la sostanza del suo gesto lirico, laddove il suo paesaggio, soprattutto vespertino, impone la malinconia delle suggestioni, come trame di un’impressione interiore, di un plasma di accadimento e soglia.

L’essenzialità del suo canto è provocato dalle emersioni del reale, quando i motivi tipici dell’esistenza balenano come insegne e barlumi. Ed ecco che la piazza, la sera, l’acqua che annuncia il suo fremito o la primavera che accarezza le cose, divengono i germogli che abbracciano  lo scorrere costante del tempo e delle sue variate fenditure: «L’amata non viene all’incontro; è l’assenza. Non fa compagnia; è quello che non si ha e si aspetta invano».

Nell’attesa di un ammicco, di un lampo, di una rifrazione di abiti e luci, Machado unisce, sente il suo vibrare, dietro i vetri limpidi di una casa: «Me ne andrà via. Non voglio /picchiare alla finestra…Primavera – la veste bianca / fluttua nell’aria della piazza morta -, / viene e accende le rose / rosse dei tuoi rosai …Voglio vederla…».

Il trasferimento dell’assenza si scontra con l’imminenza della primavera che annuncia la folla dei suoi colori, solleva il simbolo ad immagine, arricchisce la scena di rilevanze.

Quando la realtà esterna pervade l’atto lirico, l’immagine, invocata e celebrata, percepisce la sostanza della sua nudità, la solennità lieve del dialogo, la nostalgia mitica.

Sembra quasi che la riflessione, sommossa in una ferita aperta, accompagni l’esperienza della creazione poetica, la sua ritrosia, il suo candore pudico: «Soltanto la tua figura, /  come una scintilla bianca / nel buio della mia notte! // E sulla nitida sabbia, / in riva al mare, / la tua carne rosa e bruna / ad un tratto, Guiomar».

L’assenza si accompagna alla separazione, il ricordo ferisce nelle chiuse d’orizzonte, amplia e germina l’aria, intrisa di guerra e amore: «Da mare a mare tra noi due la guerra, / più profonda del mare. Nel giardino, / guardo il mare che chiude l’orizzonte. / Tu affacciata, Guiomar, a un finis terre // un altro mare guardi, tenebroso, / mare di Spagna che cantò Camões. / Chissà se la mia assenza t’accompagna; / il tuo ricordo, o dea, duole soltanto».

Il dramma del tempo si riversa in una figura di volto, quando città, paesi, frontiere di sogno e veglia, narrano l’evento della sua anima, travalicando il limite del reale, ossequiando il suo fragile e potente abisso interiore.

Gli oggetti, o meglio la vita degli oggetti, vivono nella sua scintilla di espressione, nel movimento di un animo che rileva il sentire dell’universo: «E quando verrà il dì dell’ultimo mio viaggio / e salperà la nave per non più tornare, / mi troverete a bordo, leggero di bagaglio, / quasi nudo, come i figli del mare».

A fine gennaio del 1939, con la madre, il fratello e la moglie di questi, fu costretto ad abbandonare una valigia di pagine, appunti, lettere, lungo la frontiera francese.

Fermatosi a Collioure, dopo un esodo di sogni ed esistenze, stanco, malato, fermò i suoi occhi sulla superficie del mare d’inverno.

Morì il 22 febbraio e nella tasca del suo cappotto il fratello Josè trovò un ultimo bagliore di testo: «L’azzurro di quelle giornate/ e l’infanzia di sole».

Sembra quasi di vederlo, Machado, assiso nelle stagioni che si offrono, ai refoli che impaginano versi, alle sorprese delle corolle delle primavere, ai campi di terra come regni delle foglie, agli altipiani di carne ed anima della donna amata, come grappoli di sogni e solitudini.