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Liberi di scegliere, un’esperienza per donare la speranza

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Si è tenuto lo scorso 13 luglio, alle ore 18.30, il webinar Liberi di scegliere, un’esperienza per donare la speranza, in diretta streaming sulla pagina Facebook della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione San Tommaso d’Aquino (https://www.facebook.com/pftimsantommaso/), organizzato dal dipartimento di diritto canonico della stessa sezione e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Occasione di aggiornamento professionale per avvocati, teologi, professori di religione delle scuole di ogni ordine e grado, operatori pastorali e tutti coloro che operano, a diverso titolo, nell’ambito familiare e di crescita culturale e personale, nonché biglietto di presentazione del corso di alta formazione Matrimonio, famiglia e minori nella società multietnica, in programma il prossimo anno accademico 2020-21, presso la Facoltà Teologica di Capodimonte. Al centro dei riflettori i minori e le loro vite. Dopo i saluti del professore Francesco Asti, decano della sezione, e dell’avvocato Antonio Tafuri, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, hanno preso parte all’incontro che è stato introdotto dal professore Antonio Foderaro, moderatore del dipartimento di Diritto Canonico della PFTIM, il magistrato Federico Cafiero de Raho, attuale Procuratore nazionale antimafia, il dottore Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i Minori di Catania, l’avvocato Roberto Giovene di Girasole, la dottoressa Carmela Manco, responsabile di Figli in Famiglia ONLUS, e il professore Carmine Matarazzo, direttore dell’istituto di pastorale della PFTIM, moderati dal professore Michele Giustiniano, teologo e giornalista responsabile dell’ufficio stampa della Facoltà Teologica San Tommaso d’Aquino.

Il progetto Liberi di scegliere - Rappresenta la possibilità di scegliere un futuro di libertà dall’illegalità. Finanzia percorsi di educazione individuali rivolti ai minori, al fine di fornire agli stessi una valida alternativa al contesto sociale fortemente caratterizzato da una cultura mafiosa. In particolare, il progetto contempla l’attivazione di soggetti specializzati per fornire ai destinatari il supporto necessario a favorire scelte di vita estranee alle dinamiche criminali delle regioni Calabria e Campania. Il professore Antonio Foderaro: «Liberi di scegliere non è uno slogan, ma una esperienza divenuta momento di crescita personale e di aiuto per i minori». Il destino dei figli delle famiglie mafiose è, purtroppo, spesso segnato: per i maschi l’educazione mafiosa inizia già in giovane età con l’uso di coltelli per poi progredire con le armi fino al primo omicidio che consente di avanzare nella scala gerarchica. «Noi tutti dobbiamo farci carico di mancanza laddove non siamo vicini alle persone che soffrono. Utile e produttivo è un orientamento di vicinanza alla gente. Sul territorio vi è l’esigenza di uomini che comprendano di cambiare il percorso della vita, dimostrando vicinanza a chi ne ha bisogno – ha detto il procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho - Occorre sollevare le vite di chi è coinvolto in contesti di mafia, sottrarre il minore alle famiglie, portandolo lontano dal territorio. Molte volte il risultato di questo allontanamento è positivo. E la cultura è il primo strumento per abbattere le mafie. Se i minori non vengono istruiti diventano parte dei contesti mafiosi. Spezziamo l’ereditarietà tra genitori e figli». Il progetto nel corso degli anni è proseguito grazie ad accordi istituzionali tra l’ente regionale, il Tribunale per i minorenni, il Ministero della giustizia e dell’Interno e ha trovato il sostegno, tra l’altro del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e dell’Associazione Libera.

 

Rapporto famiglia, società e malavita - Per tentare una comprensione del fenomeno mafioso, occorre partire dal luogo principale di formazione delle identità e delle coscienze, l’ambiente privilegiato per la trasmissione dei valori: la famiglia. È qui che la malavita riesce ad inserirsi profondamente nel tessuto sociale sfruttando eredità culturali trasmesse per generazioni, approfittando di bisogni di identità e appartenenza insoddisfatti nella popolazione, giocando su paure, angosce e chiusure necessarie a sopravvivere in ambienti ostili. La devianza minorile criminale rappresenta un fenomeno che, sempre più frequentemente, si tramanda all’interno di nuclei familiari contigui a contesti mafiosi, a causa di una educazione fondata sulla trasgressione delle regole del vivere civile e sulla divulgazione della cultura mafiosa di generazione in generazione. In tale contesto, si collocano i provvedimenti adottati dal Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria e di Napoli, che nell’ottica di una dinamica ermeneutica degli articoli 330 e 333 del codice civile, hanno disposto la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale di padri e madri coinvolti in organizzazioni mafiose, disponendone l’allontanamento dei figli ed il  rispettivo collocamento in territori geograficamente e socialmente lontani da quelli in cui sono stati, loro malgrado, costretti a crescere. Provvedimenti, non contro le famiglie, bensì a salvaguardia della autodeterminazione degli adolescenti, consentendo loro di sperimentare dei contesti pedagogici e sociali differenti in cui possano essere sentirsi liberi dalle pressioni familiari proprie dei contesti mafiosi «Ci sono ragazzini che hanno visto uccidere i loro familiari. Secondo il codice mafioso la violenza genera violenza. Occorre, quindi, gestire queste situazioni non solo dal punto di vista penale, ma anche civile. L’obiettivo è consentire a questi ragazzi orizzonti culturali, sociali ed anche affettivi sani. La sofferenza e la richiesta di aiuto delle madri, provate dai lutti e dalle carcerazioni, rappresenta anche il loro punto di forza, non opponendosi alla sottrazione dei figli, ma entrando in una rete di collaborazione con la giustizia», ha evidenziato il dottore Roberto Di Bella.

La paranza dei piccoli partenopei – Nella realtà del capoluogo campano, si assiste al fenomeno di minori inseriti in organizzazioni criminali con compiti di manovalanza o con ruoli di primo piano di adolescenti appartenenti o discendenti dalle tradizionali famiglie malavitose napoletane che, sfruttando l’assenza dei vecchi boss, ora detenuti, ora uccisi, tentano, quotidianamente, di affermarsi all’interno dei propri quartieri attraverso un uso esibizionistico della forza, spesso sfociato in sparatorie intimidatorie. A supporto degli interventi legislativi, vi sono delle organizzazioni umanitarie, nate per formare ed orientare i minori alla convivenza civile, creando situazioni in grado di allontanarli dalla strada e, nel confronto dei genitori e dei figli, tentano di ristabilire i rapporti all’interno della famiglia, tra la famiglia e la scuola, tra la famiglia e la società, tra i giovani ed il mondo del lavoro onesto e legale. «I bambini sono assetati di amore. Se ai ragazzi viene data una possibilità anche minima, le cose cambiano. Il problema è l’indifferenza di chi dovrebbe accoglierli per farli crescere. Per poter cambiare le cose si deve pensare che l’uomo è fondamentale e che la famiglia è la cellula primaria del mondo. Se la famiglia si ammala, si ammala il mondo», nell’intervento della dottoressaCarmela Manco. «Nell’operatività possiamo cambiare le regole Perché la realtà possa cambiare, occorre creare un patto educativo, e fare rete per conoscersi e mettersi insieme. Bisogna investire sulla prevezione e fare che un’occasione di incontro che diventi cantiere di lavoro», professore Carmine Matarazzo.