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LO HOBBIT – UN VIAGGIO INASPETTATO

Assai più de Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit divide la platea (a dire il vero ancora prima di iniziare) in due categorie: cultori e profani. Mentre la presa sui primi si mantiene salda per tutta la durata della proiezione, i secondi non subiscono la fascinazione e le suggestioni che, dieci anni orsono, ha regalato il capovolavoro di Peter Jackson. Ed è proprio alla solida epica ed al successo di quest’ultimo che il regista neozelandese ha voluto ancorare – anche stavolta non attenendosi rigidamente al testo – la sua seconda trilogia, con flashback ricorrenti e approfondimenti di questioni lasciate, a suo tempo, sospese (l’orco Azog, nemico giurato di Thorin Scudodiquercia, che riesce a fiutare “l’odore della paura”, è lo stesso che, sessant’anni dopo, guiderà l’assedio di Minas Tirith).

Lo Hobbit come prequel dunque, indissolubilmente legato alla summa tolkieniana e jacksoniana, oppure film fruibile, godibile anche indipendentemente dalla cosmogonia della Terra di Mezzo? L’uno e l’altro a parere di chi scrive, anche se, va detto, alla resa avvincente ed emozionante come antefatto – che strizza l’occhio agli appassionati del genere – faccia da contraltare una certa delusione come fantasy tout court (cfr. Brontolii e sbadigli di quegli spettatori che, ad esempio, ignorano chi siano gli Eldar, cosa distingua gli orchi dai goblin o chi siano gli elfi di Gondolin).

Decisamente avanguardista, la tecnologia 3D a 48 fotogrammi al secondo ha, in ambito fantasy, un valore in sé. È stata senz’altro fissata la versione 2.0.0 della computer grafica tridimensionale.

E allora, lasciamoci pure “dividere” da questo in fanatici-estasiati e profani-sbigottiti. (l’incontro tra Bilbo e Gollum è proprio una di quelle sequenze che esemplifica la distanza tra i giudizi: agli sbadigli dei secondi fa da contraltare l’entusiasmo dei primi).

Il passaparola tra gli scettici conterà poco; il film sbancherà comunque il botteghino.

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