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L’ultimo scrivano

Napoli, Corso Garibaldi. E’ una calda giornata di maggio. Lento è il traffico di auto e rapido il via vai di studenti e lavoratori all’uscita della stazione terminale della circumvesuviana. Poco più in la, sul marciapiede, accade di scorgere un uomo canuto ben vestito e comodamente seduto, quasi estraneo al caos che regna sovrano. Un insolito banchetto nero fa da scrivania, alle spalle di una parete recante un cartello comunale degli anni ’70. Due sedie di legno completano l’originale studio all’aperto con un avviso dalla scritta inconfondibile: “scrivano pubblico”. A chiedere l’assistenza di don Mario Ridondale, 68 anni, una signora colombiana, domestica, accompagnata dal figlioletto. Ha bisogno di un atto per la nuora. Don Mario le indica le pratiche da espletare, gli spazi del modulo da riempire. <<Quanto è?>> chiede la signora. <<Tre euro penso di essermeli meritati>> risponde don Mario. Mi accoglie con un sorriso e torna subito indietro nel passato, al 1990 quando era metronotte presso un albergo napoletano. Un giorno il titolare vendette tutto e lui si ritrovò per strada, senza un lavoro. Passando fuori la vecchia sezione comunale della municipalità Mercato e Pendino, osservò un anziano signore che scriveva nello stesso luogo. Uno “strascinafacendi”, figura resa celebre dalla scena di Totò, nel film "Miseria e Nobiltà". Cercò di sviscerare quali fossero i suoi compiti, le sue mansioni, i suoi destinatari. Passano gli anni e impara l’arte dalle stesse pratiche alle quali è sottoposto, appassionandosi sempre più. Giunge infine a rivalutarlo dopo le iniziali diffidenze, imitando i suoi predecessori. << La vera gratificazione non è di tipo remunerativo, ma quella di stare a stretto contatto con il popolo che con la sua bontà e semplicità ha bisogno di un aiuto per risolvere questioni burocratiche>>. Don Mario ci tiene a smentire un luogo comune, secondo il quale si rivolgerebbero a lui solo gli analfabeti, che i realtà sono appena il 10% del totale, in base ad una sua stima. Al suo banco si presentano in gran parte persone pigre o svogliate che trovano in lui una chiarezza ed una umanità uniche; qualità apprezzate di gran lunga rispetto ai freddi sportelli competenti. Secondo don Mario, il suo mestiere, se ben fatto, può rendere proprio sulla difficoltà delle persone di comprendere i passaggi di un incartamento o per la stesura di un modulo. Inoltre, è una mansione che risponde ad altre istanze sociali forti: il bisogno di essere ascoltati. Tanti, infatti, sono i <<vecchietti>> che approfittano della speciale assistenza di Mario per scambiare due parole e chiedere consiglio, condotta tipica di una socialità partenopea che non è andata in soffitta, testimoniando una funzione richiesta già in passato agli antesignani del nostro amico scrivano. A tal proposito, Mario ci narra una storia. Agli inizi del ‘900 uno scrivano comiciò a diffondere la sua opera presso il Salone Margherita, appena sotto la Galleria Umberto. Rispetto e stima creavano un alone di importanza attorno a quella professione dal successo garantito, a causa del diffuso analfabetismo. Una sera, terminato lo spettacolo, una soubrette si recò da questi affinché gli scrivesse una lettera d’amore destinata ad uno spettatore. Il consiglio è quindi presente nel dna di quest’antica attività. Oggi, però, al tavolo di lavoro non si recano più eleganti ballerine, ma numerosi extracomunitari che chiedono atti notori di ospitalità per ottenere i desiderati permessi di soggiorno. <<Penso di essere ancora utile nel 2008, se è vero che tanti come me non gradiscono il computer, una macchina che ti allontana dalla realtà>>. Cambiano le epoche, cambiano le richieste e i clienti. Don Mario è orgoglioso di essere l’ultimo strascinafacendi di Napoli. Lo sa bene ed è lì, col suo ufficio mobile, ad attendere paziente il prossimo utente, accogliendolo col solito garbo:<<Prego, si accomodi>>.

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