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L’uomo che misura le nuvole, al MADRE fino a dicembre

L'uomo che misurava le nuvole: scultura dell'artista belga Jan Fabre

L’uomo che misurava le nuvole: scultura dell’artista belga Jan Fabre

A Napoli l’impossibile si trasforma in realtà, sino a poter misurare le nuvole. Sul terrazzo del museo MADRE, in Largo Donnaregina, dal 29 giugno al 19 dicembre, allestita l’opera iconica dell’artista belga Jan Fabre,  L’uomo che misura le nuvole (versione americana, 18 anni in più) 1998 – 2016. Evento a cura di Laura Trisorio, Melania Rossi e Andrea Viliani, inserito nell’ambito di Per formare una collezione, un progetto di formazione in progress della collezione del museo campano di arte contemporanea. L’opera ritorna a Napoli, dopo l’esposizione del 2008 in Piazza del Plebiscito dove fu allestita insieme ad altre opere, nell’ambito del progetto Il ragazzo con la luna e le stelle sulla testa, in cui ogni scultura-personaggio interpretava un ruolo in relazione all’immaginario della città.

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L’opera -  Un inno alla capacità di continuare a sognare, di trascendere il tempo e lo spazio attraverso l’immaginazione ed è ispirata dall’affermazione che l’ornitologo Robert Stroud pronunciò nel momento della liberazione dalla prigione di Alcatraz, quando dichiarò, appunto, che si sarebbe d’ora in poi dedicato a misurare le nuvole. Oltre alla citazione, che colloca l’opera in un ambito storico e scientifico definito, in questo caso l’utilizzo dell’autoritratto ha un ulteriore riferimento di matrice biografica in quanto l’opera è un omaggio al fratello minore dell’artista, sognatore deceduto prematuramente. La messa in scena di un’assenza memoriale che si impone come presenza scultorea, diventa il doppio metaforico di entrambe le personalità rappresentate, la cui unione genera un’energia che diviene movimento, tensione e vitalità. Esprimendo la sensazione di pianificare l’impossibile,  (appunto il tentativo di misurare un’entità mutevole e incostante come le nuvole), Fabre riflette su se stesso e sullo statuto della ricerca dell’artista, assimilata alla pretesa dello scienziato di travalicare il limite umano della conoscenza. Come artista e ricercatore, Fabre tenta costantemente, in effetti, di misurare le nuvole, ammettendo e dichiarando con la sua opera che la tensione verso il sapere ha limiti invalicabili che, però, è possibile accostare e affrontare attraverso la sperimentazione, tendendo a esprimere l’inesprimibile senza tradirne, come lui stesso dichiara, l’intrinseca bellezza.

Jan Fabre – Nato ad Anversa nel 1958. artista poliedrico, performer, drammaturgo, regista, coreografo, disegnatore, scultore, è una delle figure più affascinanti, complete e complesse della ricerca artistica contemporanea. A partire dagli anni Settanta, ancora studente, prima presso l’Istituto di Arti Decorative e Belle Arti e poi presso l’Accademia di Belle Arti di Anversa, intraprende un percorso di ricerca interdisciplinare, dedicato all’esplorazione delle modalità espressive più idonee per raggiungere, attraverso tecniche, materiali e linguaggi sempre in evoluzione e mutamento, il dominio del corpo umano e delle sue manifestazioni. Sapiente utilizzatore delle potenzialità del teatro, attraverso l’espressione narrativa e la pratica della messa in scena Fabre esplora la vita umana e le sue multiformi declinazioni, combinando elementi come la danza, la musica, l’opera, la performance e l’improvvisazione in un dialogo incessante tra il pubblico e se stesso.  Il rapporto con il corpo, che emerge dalle sue performance, è indissolubilmente connesso all’interesse per altre discipline e forme di conoscenza, a partire dall’idea di mutamento e interazione tra elementi percettivi sia del mondo sensoriale che di quello spirituale. Fabre permette così alla filosofia, alla religione e alla scienza di penetrare le sue opere, in cui incorpora e trascende, con un approccio contemporaneo, temi e concetti della tradizione fiamminga: il riferimento a artisti quali Hieronymus Bosch, Jan Van Eyck, Pieter Bruegel si rigenera attraverso una pratica dedicata alla celebrazione della fragilità e al contempo della solidità della bellezza dell’uomo e del mondo, nei suoi processi interconnessi. L’artista stesso afferma: “Tutti possono essere modellati, curvati e formati con un sorprendente grado di libertà”. In tale contesto si colloca la sua produzione scultorea, in cui la proposizione di gesti comuni e azioni prive di plasticità si configura in monumentali calchi corporali in cui l’artista ritrae se stesso.

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Per formare una collezione# - Un allestimento che comprende sia nuove produzioni che opere storiche, spesso realizzate o mostrate a Napoli e in Campania a partire dagli anni sessanta del secolo scorso fino agli anni più recenti. Permette di costruire una collezione in divenire che si articola in molteplici dimensioni: quella di far vivere il museo come luogo di ricerca, approfondimento, confronto, (ri)discussione, partecipazione, quella di raccontare episodi significativi di una storia dell’avanguardia culturale a Napoli, in Italia e nel mondo, e quella di costruire ipotesi su come ripensare le funzioni stesse di un museo d’arte contemporanea oggi, in relazione ad una collezione permanente ma dinamica, attiva, in divenire, soggetta sempre ad ulteriori punti di vista e spunti critici.