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La conversione del Don Giovanni

Ingannatore, seduttore e dissimulatore drammatico nel risvolto di Mozart. Questo è stato il Don Giovanni nei secoli letterari, studiato magistralmente dallo studioso Giovanni Macchia, che ha trovato all’interno di questa figura un rapporto diretto con l’ateismo, come dimostra un antico canovaccio cinquecentesco.

Ma è con il Miguel Mañara del grande poeta lituano Oscar V. Milosz, opera teatrale scritta nel 1912, che egli acquista una connotazione umanamente più densa e più storicamente decisiva, in quanto riferita al personaggio di Don Miguel de Mañara vissuto nel ‘600 a Siviglia e morto in odore di santità dopo una vita dissennata e trasgressiva.

Oltre ad essere ricco, è un uomo abile, intelligente, dotato di grandi doti immaginative, ma il dato principale è il fatto che tutta la realtà deve essere asservita al suo desiderio di compiacimento e alla sua reattività. È ammirato da tutti per le sue doti e per le sue avventure, ma soprattutto per la sua capacità di attrarre a sé le sue numerose donne. La scena iniziale dell’opera si apre in un castello nella campagna di Siviglia, Miguel e gli amici si divertono dopo un allegro banchetto, allettati dalla presenza femminile compiaciuta e ad un certo punto, al vertice dell’ammirazione i convitati gridano: “Gloria a Mañara, gloria a Mañara nel più profondo degli inferni!“. Ma improvvisamente si alza, inaspettata, la voce di Miguel che afferma l’inutilità del piacere infernale, del male, della menzogna, della istintiva ricerca del gozzoviglio, irrispettoso di ogni regola, di ogni moralità, poiché questa tensione dis-umana porta alla noia, all’inquietudine, alla tristezza.

C’è un grido disperato in lui, un grido che sembra alzarsi all’inizio sottovoce e poi espanso con umanità come dalle viscere: “Ah! Come colmarla questa voragine della vita? Che fare? Perché il desiderio è sempre presente, più forte, più pazzo che mai…E’ un desiderio di abbracciare le possibilità infinite. Signori! Che facciamo noi qui? Che cosa guadagniamo qui? Ahimè! Quanto è breve questa vita per la scienza!” e ancora “(..)perché il desiderio è sempre presente, più forte, più pazzo che mai. È come un incendio del mare, che avventi la sua fiamma dove maggiore è la profondità del nero sull’universale! E’ un desiderio di abbracciare le possibilità infinite!“.

È il manifesto vero della condizione umana, dell’io, del cuore. È il desiderio che accende l’umana attesa e tensione verso l’infinito, verso la totalità compiuta. Il desiderio che muore e rinasce, acceso, vivo nel suo rigenerarsi.

Ma tra i presenti al banchetto c’è un anziano uomo sapiente, amico di Miguel, che ha percepito il dramma e la sua disperazione e lo invita a conoscere la bellissima e intelligente Girolama, figlia unica di un altro amico.

È un avvenimento che cambia la vita, perché essa richiama il valore, la consistenza del suo io e della sua vita. L’incontro con l’ amore è il miracolo dell’esistenza: attraverso lo sguardo della persona che ama egli percepisce una possibilità di bene, di significato, di felicità, mai intesa prima e che offre la vera coscienza di sé.

Nel dialogo con Miguel, Girolama dice: “Non metto mai i fiori tra i miei capelli. I fiori sono dei begli esseri viventi, e bisogna lasciarli vivere e respirare l’aria del sole e della luna. Io non li colgo mai, i fiori. Si può benissimo amare, in questo mondo sul quale viviamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore, o di metterlo in una prigione di vetro, oppure in una gabbia – come fanno con gli uccelli – in cui l’acqua non ha più gusto d’acqua e i semi non han più gusto di semi”.
Le parole e la presenza di Girolama penetrano nel suo animo “come se un raggio dell’estate improvvisamente penetrasse in un luogo protetto dalle ali della notte”.

È la genialità dello sguardo amoroso: attraverso i fiori, gli uccelli, l’acqua, tutto è segno di qualcosa di grande, che ci trae (per usare le parole di Jacopone da Todi) lo sguardo vero sulle cose, senza ucciderle. Ma Miguel ha l’animo ancora ricolmo di amarezza per il tanto male compiuto ed esclama: “Ahimè Girolama! Che non ci sia rimedio a questa tristezza del cuore. Quello che è fatto è fatto. Perché è così la nostra vita: ciò che è compiuto è compiuto” e Girolama, gli risponde: “Voi siete l’uomo salvato dal diluvio delle tenebre e siete debole e pallido, e ancora tutto stupito e bisogna bene che una sorella pensi per voi e parli per voi e vi sostenga nel cammino, e preghi Dio per voi. Non siete forse voi l’uomo salvato dall’acqua amara? E allora certamente sono la vostra sorella”. Miguel, dissetato dalla bellezza vera di questa immensità scopre di avere l’anima buona, perché nell’incontro con Gerolama, segno umano di questa Presenza che salva la storia scopre Dio e scopre se stesso, riuscendo ad abbracciare il reale, prima senza senso e ora ricolmo di perdono, di amore, e della luce della verità. Il dialogo si conclude con Miguel che afferma: “Ed il vostro grande pudore, e la vostra santità, me la confidate voi per il tempo? Per la vita?”, e Girolama: “Per l’eternità”. Di nuovo Miguel: “ E mi amate voi? E mi amate di pio amore innanzi agli uomini, innanzi agli uomini?” e Girolama risponde: “Innanzi a Dio”. Dopo tre mesi dal matrimonio, improvvisamente Girolama muore ed egli si sente sopra un abisso senza appoggio ma in lui già si sta compiendo l’esperienza decisiva e positiva per il suo cammino. Si reca al convento della Caridad a Siviglia e incontra l’Abate, al quale riversa tutta la sua angoscia, tutta la sua miseria peccaminosa, tutta la sua fragile impotenza, acuita dalla morte di Girolama. Ma dentro il rapporto con l’Abate egli respira il sapore dell’accoglienza, della comprensione, della verità: “Come fate, padre, a leggere così nel mio cuore, libro chiuso?” e “Che dice Paolo, il malvagio, e che dice Maria, la prostituta? Che quello che è stato rubato e perduto è stato rubato e perduto. Io sono Manara. E Colui che amo mi dice: queste cose non sono state! Se hai rubato, se hai ucciso: che queste cose non siano state! Lui solo è”.

La bellezza di questo testo sta nell’affermazione della realtà, contraria a ogni negazione, nella sua luce vera, dolorosa, arcana, fragile. Dentro un incontro, un avvenimento, fatto di persone, fatto di cose, il suo destarsi compie ogni volta un nuovo miracolo.

 

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