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Napoles

Un mio caro amico è fidanzato con una ragazza colombiana. Di recente l’ha accompagnata in un viaggio attraverso le principali città italiane. Ebbene, appena approdata a Napoli lei ha esclamato sorridendo: «Mi sembra di stare a casa». Certo, con tutto il rispetto per i colombiani, non c’è da andare troppo fieri nell’essere paragonati ad un paese che da anni vive la guerriglia. Ma quelle parole non erano dettate esclusivamente dall’aver riconosciuto, nella quotidianità della vita partenopea, quel disordine cronico proprio dei paesi sudamericani. Eppure è un paragone che anche a me viene spesso alla mente in occasioni non felicissime. Ad esempio nello scorso aprile, quando guardavo le immagini della Basilica del Carmine occupata dagli sfrattati di Melito e non ero sicuro che si stesse parlando di Napoli piuttosto che di Rio de Janeiro. Ma allora qual è l’elemento positivo, o meglio, il mix di fattori che danno a questa città quel senso di vitalità che richiama tanto quello latinoamericano? Il clima? Il mare? Il sole? Il panorama? Di sicuro sono tutti elementi che rientrano in quel mix, ma forse una delle risposte più complete può venire da alcuni tra i più importanti giocatori del Napoli. Argentini Lavezzi Denis e Navarro, uruguagi Bogliacino Zalayeta e Gargano, brasiliani Pià e per metà Santacroce. Praticamente l’attacco parla quasi esclusivamente spagnolo. Tutti loro hanno sempre parlato con entusiasmo della città che li ha accolti. Di sicuro non solo per l’opportunità di crescita che ha una squadra con un bacino d’utenza quale quello del Napoli. Tra le parole attraverso le quali più facilmente si ravvisa la sincerità di questi apprezzamenti, la più utilizzata è “calore”. Il calore delle persone che come diceva Nino D’Angelo “S’ scordan’e problem e s’ metten’ a cantà…”. Gli animi dei napoletani sono riscaldati da gioie e dolori, da bellezze e orrori, e uno degli sfoghi di questo calore è indirizzato alla propria squadra. A volte con degenerazioni di cui abbiamo già parlato. Ma nella stragrande maggioranza dei casi con espressioni di affetto che fanno innamorare i giocatori della propria squadra. Sta succedendo anche a Gustavo German Denis. Non è esploso come fece Lavezzi l’anno scorso. E difficilmente potrà entusiasmare in quella maniera, gli manca quella velocità fulminea che colpisce chiunque. Ma non è quello il suo ruolo. Lui è “el tanque”, il carrarmato. E’ vero, non l’ha ancora dimostrato a suon di goal, ma diamogli tempo. Un elemento di sicuro gli sarà d’aiuto: il calore della città.

           

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