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Push

PUSH di PAUL McGUIGAN USA, 09. La “Divisione” è un’entità super segreta che raccoglie, implementa e vorrebbe utilizzare uomini dai poteri eccezionali, manipolatori, telecinetici, veggenti, ecc. Sono cavie tenute prigioniere e sottoposti a esperimenti spesso mortali. Ma qualcuno scappa e potrebbe smascherare tutto. Basato su uno script originale di David Bourla, è una specie di “X-men” al contrario. Del resto il protagonista è proprio lo scanzonato gigione Chris Evans presente nei “Fantastici 4” (era “La Torcia”), però qui è alle prese di un ruolo più drammatico. I “super eroi” non solo sono oggetti da baraccone, ma sono soprattutto delle vittime dello Stato, in primis quello nazista, che aveva programmato delle Unità di Guerra non convenzionale, grazie a dei poteri che si presumeva questi avessero: lo strazio è continuato con lo stesso cinismo e disprezzo della loro dignità di persone, perché questi devono essere “utili” al loro paese, diventando della macchine di guerra: anche se non vogliono; anche se sono sottoposti a esperimenti bestiali. Questa fissa della guerra, però comune ad americani e cinesi, è la stessa pessimistica  tematica di “Watchmen”, affrontata qui con minore riflessività filosofica: anzi, questo tema è indicato senza particolare enfasi, come all’interno dell’azione. Il film si svolge con forte “eccessività” cromatica, e un crepitio dell’azione molto coreografata, specie nel finale. Però tutta la parte precedente è ambientata in una Hong Kong da incubo. In cui accanto ad aspetti ipermoderni, si celano anfratti oscuri e pericolosi, magari coperti da sfarzose ambientazioni in simil-cineseria . Da una parte ricorda l’oppressività architettonico-figurativa della Los Angeles futuribile di “Blade Runner” (82), il capolavoro epocale di Ridley Scott: solo che questa è l’oggi, anche se in un contesto sci-fi. Dall’altra, proprio come nel film di R.Scott, utilizza molto efficacemente queste locations esotiche, come un contesto scenograficamente molto azzeccato (curato da François Sèguin) in cui avviene una spietata e furibonda caccia all’uomo, al modo di in un tradizionale film poliziesco. Il regista, che è lo stesso di “Slevin. Patto criminale” (06), mostra di padroneggiare bene e dosare con equilibrio i due registri narrativi: quello fantastico e quello d’azione. Per dare maggior risalto all’azione, e alle sue implicazioni nella slabbrata e tormentosa esistenza dei supereroi loro malgrado, vi sono piani di ripresa spesso mutevoli di angolatura, alcuni anche volutamente “sporchi”: ma in modi graficamente fluidi. Tra gli attori, tutti funzionanti, c’è la gradevole sorpresa di Dakota Fanning non più nel ruolo della solita stucchevole bambina.