James Bond è alle prese con una misteriosa organizzazione mondiale, che punta al controllo delle risorse idriche delle zone più povere dei continenti ed è sempre in cerca di chi gli ha assassinato l’amata Vesper. Al suo ventiduesimo episodio, ci si può domandare da dove tragga la sua longevità e vitalità la saga dell’agente 007. Indubbiamente è stato il primo Bond, quello di Sean Connery, a lanciarne l’icona fulminante: l’agente spietato ma elegante e grand tombeur, in un contesto, per l’epoca, ipertecnologico, ma che non si prendeva completamente sul serio, c’era sempre un filo d’ironia. Anche quando si affrontava la guerra fredda, lo si faceva senza ideologia. Poi, finita la lotta USA-URSS e uscito di scena Connery, la serie ha trovato sempre dei cattivi nuovi, dalle motivazioni sempre più sofisticate e meno scontate. Spesso legate alle problematiche di più stretta attualità, tali da condizionare l’intero pianeta. Qui si parla della risorsa acqua, che sarà ancora più preziosa del petrolio, e di come ormai la gestione degli affari ha perso ogni coloritura ideologica, perché generanti un fiume di ricchezza per pochi, in grado di condizionare politiche di superpotenze e colpi di stato di molti paesi. In questo scenario anche Bond è cambiato. Egli non sembra avere più quell’aplomb d’eleganza molto old british che era caratteristico di almeno due passati 007, R. Moore e P.Brosnan: è diventato una macchina per uccidere, che sa essere inesorabile, pur non essendo irragionevole. Qui la faccia del nuovo Bond, l’attore Daniel Craig, non poteva essere più azzeccata. Più marcatamente fisico, quindi meno dandy degli altri, ha in più una forma di brutalità comportamentale che s’intuiva solo presente minacciosamente in Connery. Tuttavia, grazie al contributo della sceneggiatura del premio Oscar (06 con “Crash”) Paul Haggis, a tutti e due film con Craig, ci si è maggiormente soffermati sull’aspetto umano del personaggio, però sempre in modi contorti, non declamati. Nel precedente, “Casino Royale” c’era la storia d’amore con Vesper (l’attrice E.Greene), che continua anche nel presente film, in forma di vendetta. Poi c’è lo strano rapporto con la sua “capa” M, la grande attrice Judy Dench, che ha un andamento meno grottesco rispetto alle origini. Evolve verso forme strampalate di simil-maternage, ma non per questo meno credibili. Come al solito. l’azione è fin dall’inizio mozzafiato: le locations, di cui due in Italia, sono di grande bellezza. C’è un elegante gioco di citazioni interbondiane, ma è una forma di rispetto, non di cinefilia. I titoli di testa (di Chris Baker e Pedro Barquin), come molto spesso nella serie, sono dei capolavori di grafica.