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Revolutionary Road

REVOLUTIONARY ROAD di SAM MENDES USA-UK, 08.

Usa,1955. Frank e April sono giovani coniugi che stanno imparando a gestire l’esistenza reale, grigia e abitudinaria coi figli, il mutuo e il lavoro. Pensano di sfuggire alla routine inventandosi un futuro “speciale” a Parigi. Tratto dal romanzo omonimo di R.Yates, il progetto del film è stato del produttore Scott Rudin, ma ha preso forma dopo che l’attrice Kate Winslett e suo marito, il  regista e coproduttore, l’hanno fatto proprio. Da notare la figura di Rudin, producer importante di Hollywood, con l’occhio spesso rivolto al cinema di qualità, nonché inglese: suo è il pluri-Oscar del 2008 “Non è un paese per vecchi” dei Fratelli Cohen, ed anche l’acclamato “The Queen. La regina” (06). C’erano rischi che il film poteva essere un purpo: tratto da un romanzo, quindi molto dialogato, e narrativamente statico, affidato ad un bravo regista (Oscar 2000 e 2003) che sostanzialmente viene dal grande teatro inglese, con attori di assoluto rilievo, quindi tendenzialmente portati all’autocompiacimento recitativo. E invece, come in una magica alchimia, il  film funziona. Commuove, fa riflettere. Sono messe in scena le utopie velleitarie di due giovani americani, pieni di aspirazioni senza direzioni precise, affidate alla volontà giovanile di un’ipotetica trasformazione, che, di fatto, fugge dalla realtà e non si confronta con essa. Sono dei “giovani Holden”, una topica della letteratura e della cultura americana, che non hanno superato l’adolescenza. E’ un processo di trasformazione patologica che i due si rimpallano  per un misto di incapacità di guardarsi dentro, di dare pace a quel “vuoto di disperazione”, come è detto nel film, che li attraversa nella vita quotidiana. Tra i due sembra più il ragazzo acconciarsi con le modalità volute dalla società: anzi, per puro caso, conosce il successo nel lavoro che gli dà la sensazione di poter sfuggire all’angoscia della routine. E la sensibile April sembra la vittima predestinata. In realtà è una struttura drammaturgica molto complessa che non prevede “Salvati”, ma solo dei diversamente “Sommersi”. Non esistono buoni o cattivi, ma solo dei processi in atto osservati dal regista con vicinanza affettiva, molta attenzione, spietata consapevolezza dei limiti reciproci. Il film si basa sui due splendidi attori, ma anche sulle rapide figure di contorno: come il folle (M.Shannon), sua madre (K.Bates). La Winslett e DiCaprio sono maturi, attenti, ricchi di sofferte sfumature (quasi) senza  vezzi. La regia compie un lavoro di messa a fuoco scenografica e di montaggio che esalta e “muove” la drammaticità delle situazioni dall’interno, “giocando” con gli attori e i loro spazi, utilizzati al millimetro.

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