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Sergio Leone e una metafora su Napoli

Il 3 Gennaio 1929, cioè 80 anni fa, nasceva il grande regista Sergio Leone. Però, essendo morto nell’aprile 89, quest’anno ricorre anche il ventennale della morte. Egli ha profondamente innovato non solo il cinema italiano. Pur non ostentando nessuna particolare caratura intellettuale, come invece l’avevano altri famosi auteurs italiani a lui contemporanei, come Antonioni, Pasolini e Fellini, Leone aveva una potente visione del cinema, di ampio spessore epico e narrativo, paragonabile a quella di un Tolstoij. Praticamente un genio ottocentesco della narrativa trapiantato nel cinema. Era figlio d’arte, perché suo padre Vincenzo, che si firmava Roberto Roberti, era un regista di media e apprezzata bravura, tra l’altro antifascista e che sposò una cittadina italiana di origine ebrea. Quindi, Sergio "magnava pan’ e cinema". Tant’ è che, già ben addentro ai vari livelli di lavorazione nel cinema, iniziò nel 59 (quindi quest’anno è anche il cinquantenario del suo inizio attività) a codirigere, non accreditato, il film “Gli ultimi giorni di Pompei”, con Mister Muscolo, l’attore americano Steve Reeves, allora sulla cresta dell’onda, perché era stato Ercole nel fortunato film “Le fatiche di Ercole” di Pietro Francisci (58), che inaugurò, con un clamoroso botto d’incassi, il filone mitologico detto “sandalone” dai cinici cinematografari nostrani, ma  "peplum movie" in Usa. Avvenne che il regista Mario Bonnard dovette essere affiancato e spesso sostituito per motivi di salute; mentre, nello stesso anno aveva diretto la Seconda Unità del film americano “Ben Hur” di William Wyler, con Charleton Heston, però girato a Cinecittà. In particolare, a lui si deve la famosissima sequenza della corsa delle bighe, e ne è suo anche il montaggio. Il polso di Leone fu notato: cosicchè nel 61 potè dirigere il suo primo lungometraggio con l’attore statunitense Rory Calhoun, “Il Colosso di Rodi”, che si rivelò, oltre che ben fatto, anche piuttosto remunerativo. Anzi, il successo fu tale che l’attore protagonista, avviato sul viale del tramonto, conobbe una sia pur breve nuova stagione di carriera: e quando gli fu offerta la parte di protagonista di “Per un pugno di dollari” (64), poco riconoscentemente e molto stupidamente rifiutò. Leone andò in Usa e proprio in tv vide un comprimario, poco importante, di una serie di telefilm: Clint Eastwood. Lo scritturò e lo fece protagonista, non del primo, ma sicuramente del più famoso film del filone western all’italiana, ambientato in Spagna. Leone si firmò Bob Robertson, in onore del padre, e sotto altro nome, vi recitò anche Gian Maria Volontè (John Wells), nelle vesti di un terribile cattivo. “Per qualche dollaro in più” (65), oltre a Volontè, Eastwood, vi partecipava anche un attore americano, noto per lo più in parti di cattivo, decisamente in declino, Lee Van Cleef, da Leone reclutato nel colmo di una crisi etilica. Ripulito e disintossicato, rinacque in una carriera su tutte due le rive dell’Atlantico. Volontè vi aggiunse una caratteristica di psicopatia che lo rese ancora più inquietante nel suo ruolo di vilain. “Il Buono, il Brutto, il Cattivo” (66), con Eastwood, Van Cleef ed Eli Wallach, chiude la “trilogia del dollaro”. Questo è il film in cui prende forma una delle componenti dello stile-Leone: la capacità di guardare le grandi epopee sociali, qui la Guerra di Seccessione, con occhi irriverenti, ma non distaccati, perfino con spunti della commedia all’italiana; nonchè la magia del’arte di spezzare l’epicità con l’ironia  e lo sberleffo, senza far perdere il senso generale della narrazione, fluida, maestosa, ricca: “massiccia”. In “C’era una volta il West” (71) prevale l’aspetto epico: ovvero il senso storico sulle vicende individuali dei vari personaggi, i cui drammi sono felicemente incastonati nella costruzione delle ferrovia. Si celebra il West nel suo massimo punto di splendore, quando si avvia al suo crepuscolo. In  “Giù la testa” (71) il parallelo tra la rivolta messicana di Pancho Villa e Zapata, con la lotta irlandese dei primi del secolo, è una specie di omaggio al 68, a una serie di ideali libertari, pacifisti, democratici che il regista avvertiva come suoi. Ma il suo film più complesso è certamente “C’era una volta in America” (84). Il rapporto tra la grande storia e le vicissitudini personali dei tre personaggi, dipinge la storia di una grande nazione, più per le suoi lati oscuri che quelli chiari; e di come questa nazione sia diventata tale. Ma mette in luce gli aspetti della memoria individuale, che si attorcigliano alle vicende pubbliche, ne sono il contraltare. Il regista non perde mai di vista la consonanza emotiva di questi due livelli. E’ uno dei capolavori assoluti dell’intera storia del cinema. Leone ha prodotto i primi film di Verdone e un western “Il mio nome è Nessuno” (73) di Tonino Valerii, imperfetto, ma strano e non banale. Prima di morire stava preparando un film sulla difesa di Stalingrado da parte delle truppe e del popolo russo dai nazisti. E, come spesso capita nei grandi autori, vi ho trovato un legame con il presente. In particolare con la deprimente attualità politica partenopea. Sopra ho citato il film “Il buono, il brutto, il cattivo”. Ebbene, i vari personaggi che si agitano sullo spettacolino che la politica locale ci offre, ricorda quelli del film. E, un po’ come in questo, tale spettacolo è sospeso tra grottesco, malaffare e banale carrierismo un po’ minchione. Abbiamo, allo stato, un solo Cattivo, che nel film aveva la scolpita faccia di Lee Van Cleef: qui c’ha quella un po’ sbilunga dell’Avv. Alfredo Romeo, il proprietario del Gruppo omonimo che, con la Global Service, voleva mettere le mani, corrompendo, distribuendo favori e mazzette, ecc., sulla manutenzione dell’intera città di Napoli. Poi abbiamo il Brutto, che nel film era il personaggio di Eli Wallach: qui sono diversi, tra cui spicca la Sindaca, Rosa Russo Jervolino. Ma ha la stessa dose di grottesco e di comicità più o meno volontaria , pur essendo assolutamente onesta sul piano personale, perché si ostina, con invidiabile tostaggine, a pensare che tutto potrebbe tornare come prima, nonostante lo scandalo dei suoi assessori in manette. Poi abbiamo il Buono (nel film Clint Eastwood), che è il collettivo dei magistrati della Procura: essi hanno manifestato la stessa dose d’ironia presente nel film chiamando l’inchiesta “Mangianapoli”.

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