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Storia della Madonna della Catena e del borgo di Santa Lucia

Copertina_Dovere

Governarsi per mastrìa de laici

di Ugo Dovere

Guida Editori

Napoli 2016

€ 40,00

 

 

 

Ricostruite in un libro le vicende del borgo di Santa Lucia a Mare

La storia della Madonna della Catena

 

Proprio alla fine del 2016 è apparsa l’ultima ponderosa ricerca storica di Ugo Dovere, dedicata all’arciconfraternita e alla chiesa della Madonna della Catena (Governarsi per mastrìa de laici, Guida Editori, € 40,00). In un volume di quasi settecento pagine, lo studioso napoletano ricostruisce le vicende storiche e artistiche della caratteristica chiesetta, oggi al centro di via Santa Lucia ma una volta in riva al mare, e illustra con abbondante documentazione archivistica, fotografica e iconografica il contesto sociale e urbanistico dell’antico borgo, fino all’Ottocento decantato regno di marinai e pescatori.

La chiesa della Catena si cominciò a costruire nel 1575, perché gli abitanti del borgo volevano una loro chiesa. E per garantirne il mantenimento, nel 1580 si diedero regole ferree, che ne definivano la natura e le finalità, e ne assicuravano un regolare sostentamento. Divisi in sette classi o arti marinare, ma associatisi in pia adunanza, i Luciani si autotassarono per completare la costruzione del tempio. La nuova confraternita che nasceva si caratterizzò come laicale, professionale e locale, cioè dipendente dall’autorità ecclesiastica solo per la parte spirituale, e riservata solo a marinai e pescatori del borgo di Santa Lucia a Mare.

Il sodalizio luciano fu dedicato alla Madonna della Catena. Si trattava di un titolo mariano proveniente da Palermo, dove una chiesa sul porto aveva lo stesso titolo. Originariamente esso derivava dalla funzione svolta dall’edificio, alle cui pareti si agganciava, in tempo di guerra e di burrasca, una robusta catena per chiudere il porto. Con il tempo, tuttavia, questa funzionale spiegazione fu sostituita dalla struggente e pia storia di tre giovani miracolosamente scampati al patibolo per intervento della Madonna, che avrebbe aperto le loro catene in una travagliata vigilia trascorsa nella chiesa del porto palermitano. Anche i marinai e pescatori luciani vollero invocare la Madonna con il titolo che le veniva dato a Palermo, da dove, peraltro, si era diffuso in varie località del Mezzogiorno.

Con spirito religioso, gli associati alla confraternita della Catena provvidero la chiesa di un proprio clero, che garantisse le celebrazioni e curasse principalmente il culto eucaristico, la pietà mariana e le pratiche funerarie. Si impegnarono a tutelare inabili al lavoro, anziani e vedove con sussidi; a fornire assistenza medica agli associati e alle loro famiglie; a dotare le figlie dei marinai in età da marito; a pagare il riscatto per quei marinai o pescatori che malauguratamente fossero stati catturati dai Turchi durante le loro navigazioni.

L’arcivescovo Annibale di Capua approvò i capitoli di fondazione della confraternita di Santa Maria delle Grazie alla Catena (1580). Il successore, poi, il cardinale Alfonso Gesualdo, nel 1597 collocò nella chiesa confraternale una delle nuove parrocchie, erette in città in ossequio alle direttive del Concilio di Trento: la parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Catena. Iniziava allora (e si sarebbe conclusa solo nel XIX secolo) una complicata convivenza tra le due istituzioni, che nel corso dei secoli produssero frequenti ricorsi e liti giudiziarie in difesa di ciascuna delle parti in causa. Il parroco, infatti, era tenuto solo alla celebrazione dei sacramenti, mentre tutta la restante cura pastorale del borgo era affidata al rettore della chiesa, responsabile del culto e delle opere di carità.

L’esperienza della confraternita della Madonna della Catena, accuratamente analizzata da Dovere attraverso gli statuti e i comportamenti, diventa indicativa della vita sociale e religiosa dei laici a Napoli in età moderna e contemporanea. L’ampio studio, che procede con metodo interdisciplinare, segue lo svolgimento dei fatti, intrecciandoli con la storia politica, sociale e religiosa del tempo, nonché con gli sviluppi urbanistici e architettonici del territorio, caratterizzato, dopo l’Unità d’Italia, dalla costruzione di una “nuova” Santa Lucia grazie alla speculazione per la “colmata” a mare, che arretrò la chiesa, incassandola ai piedi del sopravvissuto e popoloso Pallonetto. La documentazione di corredo restituisce ampie testimonianze sulle tradizioni luciane fino al principio del XX secolo (con particolare attenzione alla festa a mare della ’Nzegna, scomparsa negli anni Cinquanta del Novecento) e scandisce i progressi statutari del sodalizio.

Giuseppe Falanga