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TO ROME WITH LOVE

Senza dubbio sul podio. Indiscutibilmente fra i tre peggiori film di Woody Allen. E non bisogna attendere il finale per giudicare (un finale che impegna Roberto Benigni in una calata di braghe che si è tentati di interpretare come una sorta pubblica gogna, autoinflitta per aver accettato la parte). Il film inizia e subito delude: rispolverando il vigile sul piedistallo di piazza Venezia, impegnato a dirigere un traffico che non c’è; proponendo una coppietta di Pordenone che, in visita a Roma, si separa e smarrisce per la città come neanche un bambino in un centro commerciale (da valutare con misericordia le interpretazioni di Alessandra Mastronardi e Alessandro Tiberi); offrendo un’ennesima versione di incontro-ufficiale-tra-rispettivi-genitori a suggello di un’ennesima love story sbocciata nella città eterna.

C’è anche un architetto americano che torna nei quartieri in cui era stato trent’anni prima e decide, d’emblée (e forse solo in questa insolita immediatezza si scorge Allen), di trascorrere la sua vacanza nelle vesti di un ovidiano magister amoris di Jesse Eisenberg, banalmente attratto, a sua volta, dalla migliore amica della propria fidanzata.

Insomma, niente di più di una manciata di abusati stereotipi, per lo più fotografati con la raffinatezza di un turista giapponese.

La “sua” Roma non è vera almeno quanto le “sue” New York, Londra, Barcellona e Parigi, ma la cartolina che ci spedisce il genio di Brooklyn è certamente la più brutta mai scelta.

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