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AUSTRALIA

AUSTRALIA di BAZ LUHRMAN USA-AUSTRAL., 08.

Anno di Grazia 1939: Lady Ashley prende possesso della tenuta del marito alle soglie dell’Outback australiano. Conduce una mandria al porto, scontrandosi con un altro grande allevatore, e affronta l’invasione giapponese. Il regista, anche produttore, ha inteso erigere, in forma di film, un monumento alla nazione-continente che gli ha dato i natali. Come ad altri famosi attori aussies sparsi nel mondo e presenti a Hollywood. Tra cui i due protagonisti, N.Kidman e H.Jackman, che non deludono, quanto alla  presenza scenica e al glamour che ci si aspetta da loro. Anche se fin troppo stereotipati: abbastanza ridicola è stata la scena della doccia in pretto stile macho-pubblicitario di Jackman. Ma è nel complesso che il film non funziona. Di fatto è come se fossero tre i film in uno, ognuno non comunicante con l’altro. Il primo è il western dei grandi spazi, incentrato sulla vicenda del trasferimento del bestiame, ostacolato dal cattivo di turno, il bravo e carismatico B.Brown e dai suoi sgherri, tra i quali è da segnalare il più fetente, D.Wenham, e dell’incontro col protagonista. Sono decine i western classici, a partire dal capolavoro “Il fiume rosso” di Howard Hawks (48), direttamente citato, come anche lo è Sergio Leone, che parlano di questo tipo di epopea. E qui è la parte più convincente, paradossalmente più originale del film. Il senso del viaggio, come processo trasformativo è reso in modi cinematograficamente impressionanti, con la lettura degli spazi primigeni, incontaminati e sterminati di quel continente; esso è  un andare accompagnato dalla presenza dei nativi, impersonati dalla misteriosa e ben caratterizzata figura di King George, il conosciuto attore aborigeno David Gulpilil. Poi c’è il film del’invasione dei nipponici: e qui siamo nettamente “dentro” “Via col vento”. Il regista voleva mettere in evidenza la nascita dello spirito australiano e del suo distacco dall’Inghilterra, il paese colonizzatore. Il ragionamento storico è giusto: ma è poco compartecipato emotivamente. Il terzo film è quello della “Generazione Rubata”, che è il titolo di un bel film civile australiano sull’argomento, di Ph. Noyce, ma anche la disgraziata e mai troppo deprecata politica (abolita solo nel 1992) di distacco forzato dei figli meticci dalle madri aborigene. Essa è inoltre la cornice narrativa del film, perché è narrato proprio da uno di questi ragazzi, che ne è addirittura il coprotagonista. Le tre vicende si ostacolano, non si concludono e restano narrativamente “appese”. Il film ha comunque incontrato i suoi pubblici, ed è piaciuto per l’ampiezza e la potenza dei sentimenti messi in campo; il piglio epico del regista è sostenuto e credibile.

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