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Il re del mare che univa arabi ed ebrei

Mirabilia Coralii. La meraviglia per una forma così originale del Creato. La meraviglia per la particolare abilità dell’uomo di trasformarla in opere che onorano il Divino. E’ duplice questa sensazione che da il titolo all’esposizione di numerosi capolavori di arte sacra e profana che si presenta agli occhi di coloro che accedono presso il settecentesco Palazzo Vallelonga, sede della Banca di Credito Popolare presso Torre del Greco. Anche quest’anno, assecondando una fortunata consuetudine che va avanti dal 1996, secondo una formula collaudata dal successo di critica e pubblico, va in scena una mostra unica nel suo genere, capace di fondere tradizioni storiche e identità del territorio in un viaggio nel tempo alla ricerca del corallo, croce e delizia della sapiente e rinomata manualità artigiana torrese, la stessa raffinata arte che ancor oggi è tramandata di padre in figlio. Inaugurata il 20 dicembre scorso, chiuderà i battenti il prossimo primo di febbraio. C’è ancora tempo, dunque, per chi volesse naufragare dolcemente nella magnificenza delle preziose opere in mostra. E’ il corallo nelle sue manifestazioni pregiate, quello che appare al centro di un percorso di storia, identità, religione e culture che affonda le radici nel medio e lontano Oriente, oggi al centro di tragici e prolungati conflitti ma che un tempo ha visto la fioritura dei commerci lungo le vie del Mediterraneo, soprattutto nella Sicilia, nodo cruciale di contaminazioni. Attraverso un’indagine storica approfondita, un dato emerge su tutti nella lavorazione e nel commercio del corallo, rappresentato dall’azione penetrante delle comunità ebraiche, stabilitesi in Sicilia a partire dal VII secolo D.C.. Il binomio ebrei – corallo è all’origine delle splendide manifatture siciliane dell’età barocca. In epoca rinascimentale infatti, gli ebrei conquistarono il monopolio del commercio e la lavorazione di paternostri in corallo, proseguendo l’apprezzata attività artigianale nonostante l’espulsione de “los Reyes Catolicos”in Spagna. Il secolo successivo decretò una produzione copiosa che raggiunse alti livelli artistici, definita, non a caso, l’epoca d’oro dell’arte trapanese. E’ la stessa mirabilia sorprenderà le corti reali europee tra il ‘500 e il ‘700, conducendo schiere di celebri pittori a rappresentarne le opere nei propri dipinti: Giorgio Vasari ne “La nascita del corallo”, Luca Giordano nel “Ratto di Europa”, Filippo Da Messina in una scena nella quale Andrea Soli, corallaro, offre rosari a monaci, o ancora in Piero della Francesca nella “Madonna di Sinigallia con bambino”, quest’ultimo dal collo adornato con un rosario di corallo.Un filmato introduttivo all’ingresso della mostra, illustra per immagini la cronostoria di questo dono prezioso del mare nostrum, in bilico tra tre regni: non minerale, non vegetale e non animale. Una gemma dal valore magico, perchè arricchitasi delle tradizioni millenarie che le hanno attribuito un’aspirazione positiva suggestiva, volta all’auspicio di benessere, di fortuna e vitalità. Per i Romani la visione del sangue della Medusa, per i greci albero di sangue che simboleggia la forza generatrice, per i cristiani, il sangue di Cristo che preserva dal male. Ostensori e calici, crocifissi con l’immagine del Cristo rafforzavano il simbolismo legato al sacrificio cristiano. Ogni tradizione culturale si è servita di questo medium per esprimere concezioni del mondo mediante le quali si manifesta la potenza divinatrice. La Sicilia è stata eletta a ragione terra dei coralli, feconda di scambi che tra il 200 e il ‘400 collegavano le sponde d’Oriente a quelle d’Occidente. Dopo insediamenti ebrei avvenuti nella odierna Tunisia, molti di costoro, in seguito a gravi carestie avvenute nel XII secolo, trasmigrarono verso l’isola, portando con sé un bagaglio di cultura giudeo-araba in un’epoca di profonda trasformazione culturale dal punto di vista della dominazione: dagli arabi, ai normanni e, infine, agli Svevi. Un gruppo che fondeva, secoli prima del melting pot e delle guerre di civiltà, il mondo orientale e occidentale. I giudei si annoverano tra gli imprenditori più produttivi, dedicandosi alla pratica mercantile di prodotti di lusso quali seta, lana, gemme e corallo. Consideravano il corallo in un senso trascendentale, essendo citato tra le gemme più preziose nel Libro di Giobbe e metafora delle virtù supreme dell’uomo. Dai documenti storici si evince una fitta trama di rapporti commerciali che si estendevano, con riferimento agli ebrei siciliani di Palermo, dal Marocco all’India. Dopo l’invasione normanna proseguirono nell’attività di mediazione tra le sponde del Mediterraneo, realizzando il primo grande mercato unico ante litteram. Parte da Trapani la richiesta di perle nel ‘400 da parte musulmana nei confronti degli imprenditori giudei, così come per i rosari cristiani. Dal 1500, in seguito alla diaspora, gruppi di ebrei si stabilirono a Livorno, Genova e nel napoletano, realizzando fondaci presso San Giorgio a Cremano e Torre del Greco. La pesca del corallo era compiuta con l’uso di piccole barche dotate di un ingegno capace di sradicare i rametti del corallo che rimanevano incastrati tra le reti. L’artigiano acquistava il materiale grezzo dai pescatori e incaricava mercanti ebrei della vendita. Da allora il commercio internazionale verrà gestito dai catalani.Le preziose manifatture, provenienti in larga parte da collezioni private, costituiscono opere dei maestri trapanesi, di carattere misto: scrigni preziosi, ostensori lucenti, reliquari imponenti e ricchi trionfi. Spiccano tra le opere in mostra  i paliotti d’altare, veri capolavori del Barocco, ricamati con perline di corallo, fili d’oro, argento e sete multicolori. L’oro e il rosso accostati seguendo una precisa simbologia: l’oro, nel quale si manifesta il potere temporale e il rosso del corallo, che valorizza la sacralità col sangue di Cristo. Un inestimabile produzione artigianale a metà tra il ricamo e l’oreficeria,come quella raffigurante San Francesco di Paola che attraversa lo Stretto di Messina presso il Convento di San Vito a Vico Equense. Per le altre opere rimandiamo al lettore la curiosità e il desiderio di osservare da vicino le eccellenze in esposizione. Tuttavia, come ricorda il volume realizzato ad hoc, una lenta quanto progressiva decadenza colpì l’attività dei corallari siciliani a partire dal ‘700, con l’interruzione delle attività professionali di padre in figlio. Conclusasi così l’epoca d’oro della perfezione applicativa, si passò ad una produzione più grossolana, comportando una mutazione degli artigiani, da intagliatori e scultori, a gioiellieri, per andare incontro alle nuove richieste di status della ricchezza manifestate dalle famiglie borghesi. E’ l’avvio della produzione profana che sostituisce i temi sacri con la naturalezza di fiori e frutti, qualificando una produzione che si affermerà nella cittadina alle falde del Vesuvio in concomitanza con il declino dell’arte siciliana. Proprio in seguito all’unità d’Italia, Torre del Greco raggiungerà l’apice del successo relegando ad una posizione marginale Trapani. Il resto è storia d’oggi, con la prosecuzione di un mestiere antico e raro che vede ancora laboratori sparsi sul territorio e la ripresa di una simbologia sacra e profana che tanta mirabilia, è il caso di dire, ha prodotto nel tempo come identico è lo stupore che suscita agli occhi dell’uomo contemporaneo.

 

 

 

 

 

 

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