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“Colpo d’occhio” di Sergio Rubini

Adrian, scultore di belle speranze, s’innamora, riamato, di Gloria, pupilla del maturo e potentissimo critico Lulli. Quest’ultimo, conosciuto il giovane artista, gli spiana la strada per il successo. Ma c’è un prezzo da pagare. Dopo il suo “La terra” (06) opera corale di riflessione familiare, in cui lo stesso Rubini si ritaglia il ruolo del viscido usuraio, anche qui, c’è per lui, un ruolo di più che ambigua valenza: evidentemente è dostoevskianamente attratto dagli abissi del male. Ambientato nel modo dell’arte, denuncia come si “costruisce” il successo di un artista o lo si può distruggere e come tale mondo sia strutturato in modi piramidali. Al top ci sono i grandi eventi “titolati”, poi le mostre, le “presentazioni” ai cataloghi ecc.. Tutti momenti che, oltre ad essere di ricerca, sono, per chi ci sta dentro, veri e propri riti di potere, che stabiliscono gerarchie, qualità e consistenza del prestigio raggiunto, da cui scaturisce il business del valore di mercato. La dipintura di questo mondo è precisa, dettagliata e non invasiva, perché è il contorno entro cui si dibatte la natura intensamente psicologica del conflitto tra i tre personaggi. Il Rubini, anche soggettista e sceneggiatore insieme a Cavalluzzi e Pasquini, lo costruisce con grande potenza emotiva, perché a lui interessa approfondire  e dialettizzare quali siano le motivazioni che spingono le persone a cambiare il loro atteggiamento esistenziale e che tipo di trasformazione  si subisce entrando in un percorso di potere e di successo. L’accesso al potere è messo da Rubini, vero demone tentatore, in conflitto con le scelte individuali di vita con la donna, contrasto sottilmente gestito dal geloso ex amante. Però il film acquista densità e tensione che pervadono e rendono crudeli tutti i dialoghi, perché trasformano, davanti  ai nostri occhi, le relazioni umane e le tranquille atmosfere di felicità domestica in gabbie  e percorsi di incubi. Il vero conflitto a distanza è tra Gloria e il Lilli. Anzi è lei ad essere la più lucida e sofferta, grazie anche alla interpretazione che ne dà V. Puccini, oramai attrice vibratile e dalla gestualità intensa e misurata, non solo diafana presenza. Lo stesso Scamarcio (protagonista), nel presentare il film, ha fatto un riferimento all’alleniano “Match Point”, che è senz’altro presente. Ma Rubini ha operato sia una più stringente scelta di drammatizzazione, che una scelta ambientale, la quale gli consente di usare in modi stilistici, spesso conturbanti e sempre narrativamente efficaci, gli spazi visuali che ha saputo creare, utilizzando con scioltezza e gusto estetico le architetture in cui si svolgono le “Fiere dell’Arte” .

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