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Elisabetta Motta. Giampiero Neri e l’alterità irriducibile

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Il viaggio di Elisabetta Motta (1966), docente di lettere presso il Liceo Modigliani di Giussano, saggista, critica letteraria, all’interno del mondo poetico di Giampiero Neri, attraverso il suo saggio, Degli animali. Viaggio nel bestiario di Giampiero Neri[1], con le illustrazioni di Luciano Ragozzino, appena edito da CartaCanta, compie una parabola sorprendente, indagandone l’essenzialità animale e la sua capacità di trasformazione universale, attraverso rimandi ed evocazioni, che recuperano la tradizione dei bestiari medievali, delle favole di Esopo e dei fratelli Grimm, raggiungendo la tradizione letteraria otto-novecentesca di Baudelaire, Valéry, Kafka e Rilke, ma anche guardando ai riferimenti scientifici di Darwin e Fabre.

L’amore verso gli animali si sviluppa sin dall’infanzia, il riferimento all’opera di Fabre, rivissuto attraverso lo studio dei Ricordi entomologici, diventando la zona e il giacimento del suo inizio di poesia, che considera il Mistero abissale della creazione, come vertigine di un universo segreto, dove «l’enigma del reale si prefigura attraverso una creaturalità indecifrabile e protesa, in cui la laterale sfumatura del dettaglio diviene metafisica narrazione del tempo, avvenimento indicibile, purezza del gesto che non accondiscende, per tremare[2], «di fronte al grande libro della Natura (il suo bestiario è sempre più ricco, incontriamo: uccelli, leopardi, cavalli, maiali, cavallette, aquile, oche, bisce, persino uno sfeco, «pericoloso insetto simile a una vespa») e di fronte ai Grandi scrittori del passato, magari esclusi del Canone, come Fenoglio, Grossman o persino come Collodi[3]».

La concezione araldica del male, che irrompe nella sua insondabile necessità, spiegato attraverso le metafore del lupo, dell’agnello e dell’aquila bicipite, permette lo sguardo verso l’umanità e la sua alterità, in tutta la sua limpidezza e in tutta la sua parola.

Davide Rondoni, nella prefazione, scrive:

«Nella presenza degli animali, infatti, Neri sorprende in vario e documentato modo (la Motta dà conto di fonti letterarie e scientifiche) l’indomabile potenza della Natura, intesa non solo come regno animale, bensì come Natura sorgente, nascita che si supera, precede, e in un certo senso domina. Per questo, dall’esergo del libro alle prime righe dell’autrice, troviamo subito espresso il punto di vista che sostiene questo studio e il suo oggetto, cioè lo studio poetico del Neri riguardo gli animali. Si tratta, in breve, della possibilità che osservandoli noi si comprenda maggiormente «il misterio etterno dell’esser nostro» come mormorava Leopardi. […] Occuparsi infatti della presenza degli animali nella poesia di Neri significa entrare in una vicenda primaria tra le questioni che occupano l’animo pensoso degli uomini di oggi, la propria collocazione, sempre problematica ma oggi particolarmente drammatica ed esposta a inquietudini e violenze, dell’uomo in relazione alla natura».[4]

Il palcoscenico di Neri, dunque, afferma l’intensa cautela, la percezione dell’altro come compagno di viaggio, prima, e mistero poi, di sopravvivenza e di salvezza che fronteggiano il limite, la fedeltà agli istinti e il linguaggio (anche dello sguardo) “altro”, che si umanizza nella differenza, che colma la solitudine e reca unicità, incanto e promessa.

Elisabetta Motta sostiene che:

«Per quanto la natura degli animali, il destino e il loro linguaggio ci siano ignoti, essi tuttavia sono visti da Giampiero Neri come i nostri naturali “compagni di viaggio”, attori che si muovono con noi su di un comune palcoscenico naturale. La natura è vista come uno specchio nel quale, al di là delle immagini di noi stessi, è possibile vedere di riflesso le immagini degli animali coi loro diversi comportamenti, privi però delle mascherature della nostra psicologia. Il loro comportamento infatti appare agli occhi del poeta più onesto del nostro, senza falsità, pietismi e quei camuffamenti che derivano dalla parola e portano ad un travisamento della storia che appare ai suoi occhi dettata da una politica unilaterale e dunque menzognera. […] Attratto in particolare dai rapaci per la «doppia vita» che conducono, dedica a essi numerosi componimenti, ma facilmente individuabili come presenze assidue nella sua produzione sono anche gli insetti, depositari di segreti inaccessibili e incomprensibili per l’uomo, pesci, anfibi e diversi animali domestici. […] Partendo dunque da una posizione tradizionalista, tesa a definire l’animale a partire dall’umano, la visione di Giampiero Neri si apre tuttavia alla considerazione che esso è portatore di un’alterità da preservare, accettare e rispettare nel segno di un’interazione reciproca […]».[5]

Se la visione del bestiario rappresenta un repertorio in cui la descrizione delle “nature” e delle proprietà degli animali si compone di indagine di ordine religioso e morale, nella Natura, come simbolo di verità più ampie e cave, la sua origine cerca, così, il Mistero, la chiaroscurale limpidezza del realismo creaturale, l’imprevedibilità, la vita incontrollabile e incontrollata, e il destino.

È nella dimensione speculare dell’incontro, dell’ascolto, e quindi dell’obbedienza, che si gioca il cuore della poesia che si rapporta al dramma della realtà e al suo essere. La poesia di Neri sperimenta la lacuna, l’indicibile narrazione, il sogno, lo scioglimento dell’arcano del mondo, per rivelare distanze temporali indefinite, per fornire il disincanto, l’affermazione e la scrupolosa vitalità.

Ed ecco che se la fuga della biscia diventa la metafora di ciò che è inafferrabile, come la poesia e la libertà, mentre il deposito memoriale di «memoria incerta», che cerca, attraverso lo scavo, di dare senso a oggetti, luoghi, volti e figure, è rappresentato dalla salamandra, simbolo dell’immagine di Cristo e della Sua resurrezione (così come della calcinazione alchemica), ma anche della sua capacità di resistere al fuoco diretto e quindi, divenendo «simbolo di resistenza al male, mentre la casa isolata, rimasta miracolosamente intatta, per antitesi ci fa balenare nella mente scenari altri, con immagini di macerie, corpi calcinati, polveri silenti, indice di un orrore che continua anche nell’oggi[6]».

Gli uccelli di Neri, invece, dalla civetta al Gufo reale, dal dominio dell’aquila all’oca, rappresentano sia possibilità di una trama orrifica sia il doppio tempo della creazione e della libertà.

Il territorio animale del poeta è quello delle stagioni, della loro oscurità e lucentezza vigile, della meta dell’immaginazione, laddove la poesia diviene l’orizzonte della cosalità, del volo e del racconto metafisico.

E poi ancora la simpatia per l’asino, i cavalli, la fine del maiale, raccontata nelle grida e nel silenzio, e i vitelli «mentre si alzano dal loro giaciglio di paglia, entro un recinto che si trova in una radura, in prossimità di un bosco. Il colore del mantello degli animali, un bel marrone caldo, e la luce dorata, che filtra attraverso gli alberi, contribuiscono a dare unità di toni e sentimento alla scena e creano una sorta di apparizione, come di una vita al suo albore[7]».

L’incredibile mondo degli insetti viene guardato nella loro peculiarità organizzativa (come accade alle termiti), rapportata alle dinamiche storiche, ma anche alla forza autodistruttiva, come accade nel caso delle zanzare o distruttiva nello scarabeo, alla loro fralezza di suono, fino allo sfeco e alle cavallette, che sembrano appartenere a un mondo altro e sconosciuto, raccontato nella loro indeterminatezza e corrispondenza della fine, fino alla dimensione mitica, al transito, al rituale e al mimetismo, come ha descritto Pusterla: «Il mimetismo, insomma, può divenire il nucleo stesso della poesia di Neri, poiché l’autore ne utilizza tanto le potenzialità etico semantiche (e il mimetismo si trasforma in figura del pensiero), tanto in ricadute formali, che propongono un’analogia fra i colori e le forme con cui il mondo naturale impara a mimetizzarsi e gli “ornamenti” (che ornamenti non sono, ovviamente) del testo poetico, che definiscono e celano lo spazio del significato[8]».

La vivacità, l’inquietudine, il problema dell’umano in rapporto a questa indocile alterità, trova nello zoo, un senso di soggiogata immobilità che fa assomigliare gli animali a reperti di archeologia degradata. Neri guarda a questo scenario di sopraffatta sopravvivenza come «monumento all’assenza» e libertà infranta degli occhi, che però, come nel caso del suo racconto nello zoo di Como, davanti alla gabbia del leopardo, improvvisamente, verrà sovvertita «quella gerarchia che si basa sul controllo e sulla presunta superiorità dell’uomo che vige come regola dello zoo».

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Motta E., Degli animali. Viaggio nel bestiario di Giampiero Neri, CartaCanta, Forlì 2018, pp. 79, Euro 12.

Motta E., Degli animali. Viaggio nel bestiario di Giampiero Neri, CartaCanta, Forlì 2018.

Galgano A., La via provinciale di Giampiero Neri (www.polimniaprofessioni.com/rivista/la-via-provinciale-giampiero-neri/), 8 marzo 2017.

Pusterla F., Il nervo di Arnold, Marcos y Marcos, Milano 20017.

Rivali A., Il tempo sospeso di Giampiero Neri (www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2017/2/21/LETTURE-Il-tempo-sospeso-di-Giampiero-Neri/749575/), 21 febbraio 2017.

 

[1] Motta E., Degli animali. Viaggio nel bestiario di Giampiero Neri, CartaCanta, Forlì 2018.

[2] Galgano A., La via provinciale di Giampiero Neri (www.polimniaprofessioni.com/rivista/la-via-provinciale-giampiero-neri/), 8 marzo 2017.

[3] Rivali A., Il tempo sospeso di Giampiero Neri (www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2017/2/21/LETTURE-Il-tempo-sospeso-di-Giampiero-Neri/749575/), 21 febbraio 2017.

[4] Rondoni D., Prefazione, in Motta E., cit., p.10.

[5] Motta E.., cit., pp. 14-15.

[6] Id., cit., p.22.

[7] Id.,cit., p.41.

[8] Pusterla F., Il nervo di Arnold, Marcos y Marcos, Milano 20017, p.92.