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Frammenti d’Amore e Disamore: Francesco Petrarca

E’ opinione diffusa e ben considerata che Francesco Petrarca rappresenti il vero primo artista e intellettuale moderno. La ragione nasce dalla messa a fuoco della centralità dell’uomo, come ebbe modo di dispiegare il compianto Vittore Branca nel 1974. La Divina Commedia dantesca era l’opera sognata e promessa, un arcobaleno gettato tra il poeta e Dio, in cui: “L’amore per Beatrice non è il risultato di una scelta, è una passione. Fin dall’inizio è una forza irresistibile che proviene da una sorgente che è al di là della portata della ragione» (Charles Singleton). In questa rara forma di poesia facilmente si riconosce una tradizione che si snoda da Boccaccio a Tasso, da Milton a Pound, fino a Ungaretti e Luzi. In questa tradizione, tuttavia, non vuole riconoscersi Petrarca, anche se tracce esplicite o occultate delle invenzioni dantesche, sono puntualmente reperibili in testi diversi, come i Trionfi (in cui egli ricerca la propria Commedia), il Canzoniere, il Secretum. Egli però apre il Canzoniere con una confessione intima, eppure in gioco, come per Dante, è il destino dell’uomo, che è da intendersi come il modo di determinare il loro rapporto con se stessi e con Dio. E nella canzone alla Vergine, che chiude la serie delle Rime – come “Vergine Madre” chiude il Paradiso – Petrarca invoca Maria come vera Beatrice. Petrarca si schiera contro Beatrice, ossia con l’effimero e il transitorio, con il fatto che la Grazia sia altrove e che non cambia il mondo. Questa tradizione autobiografica si dispone nel Canzoniere o Rerum vulgarium fragmenta: i due titoli, impiegati per lo stesso testo, colgono la sua paradossale natura. Il primo, Canzoniere, mira a costituire le “rime sparse” in un libro che narra l’itinerario autobiografico del poeta. L’altro Rerum vulgarium fragmenta, assegnato dallo stesso Petrarca, riconosce la struttura frammentaria e slegata del testo, in cui le “parti” che lo compongono restano disgregate e apparentemente tra loro irrelate. Ad ogni modo, l’evento unificante e decisivo che apre la via  alla sequenza poetica è l’incontro con Laura, intravista il 6 aprile 1322, un venerdì santo, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone. Ma non si dà unificazione spirituale o morale. Dal doppio senso di passione, esperienza erotica, sacrificio della croce, che Petrarca esplora in un sonetto come: Era il giorno che al sol si scoloraro / Per la pietà del suo Fattore i rai, / Quand’io fui preso… sorge la coscienza della sua lacerazione interiore o del suo dissidio morale. Petrarca tiene un diario d’amore e di rammarico, una poesia per ogni giorno dell’anno, e così costruisce la liturgia o l’eterno calendario d’amore. Il repertorio della sequenza variamente commemora l’inizio della passione, gli ossessivi ricordi che resistono al tempo, i pensieri di disamore e i pentimenti di questa avventurosa esistenza interiore, di questa “cancellazione, come scrive Marco Santagata, della centralità dell’ “io” . L’oggetto d’amore non è mai menzionato” e “la parola “amore” compare una volta sola, e per di più dislocata dal soggetto agli spettatori, a <<chi per prova intenda amore>>. Il privilegio dell’interiorità che corrisponde alla perdita dell’alterità e a un ripiegarsi verso l’analisi, come emerge dal Secretum, dialogo psicologico(?) con Agostino. Condizione dubbiosa, sospesa, dimidiata che mette in luce la vanità dell’esperienza umana, in cui tutto naufraga e inganna perché <<quanto piace al mondo è breve sogno>>.  Bisogna lasciare spazio a un altro tipo di desiderio.

Scrive Ezio Raimondi: Petrarca assume gli oggetti e gli eventi e li porta entro la storia della propria coscienza. Le mobili passioni, fascino fatale e ripulse che Laura ispira, <<l’adversaria mia che ‘l ben perturba>>, <<quella dolce mia nemica et donna>>,  disoccultano le sfaccettature dell’io, prive di una prospettiva trascendente che li componga, creando una polarità. Petrarca interroga e attraversa queste regioni o mondi interni. Crea quindi una lingua della lirica, una regione della lirica, si potrebbe dire, ossia una poesia che racconta e mette in moto il vulcano dell’interiorità (Un lamento perfetto e purissimo, però è un lamento scrive Davide Rondoni). Laura, catena dello spirito, è la maschera delle infinite migrazioni del desiderio (anche nel suo nome anagrammato) e della delocalizzazione del poeta, irriducibile ad una unità. Anche Dio è irraggiungibile, come ebbe modo di intuire Contini, e interviene a “sedare il tedio e consolare la stanchezza”, con il provvidenziale scioglimento dei legami: <<Morte m’à sciolto, Amor, d’ogni tua legge: / quella che fu mia donna al ciel è gita, / lasciando trista et libera mia vita>>. Dante aveva raggiunto l’Eterno attraverso il tempo, senza sminuire fisicità e concretezza della figura amata, in Petrarca, come testimoniano I Trionfi, esso sconfigge e elimina la carne. Una soluzione eminentemente spirituale. Purissima e sconfinata come la acque di Valchiusa,  e per dirla sempre alla Contini: o si punta, per affermarsi e sopravvivere, sulla scelta e sull’eternità come fa il Petrarca, o si punta, come Dante, sul tutto, mescolato anche di effimero e contingenza.

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