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Il carcere da un altro punto di vista

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Non c’è giustizia senza un carcere umano. Alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Tommaso d’Aquino in Napoli, il 31 maggio 2018, si è parlato di Carcere e giustizia da un altro punto di vista, convegno conclusivo del corso di formazione Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, diretto dal professor Carmine Matarazzo. Evento di formazione teologica pastorale di grande successo in termini di partecipanti e qualità dei relatori, promosso dalla facoltà teologica di Capodimonte in collaborazione con l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri italiane, l’Ufficio di Pastorale Carceraria dell’Arcidiocesi di Napoli, con il patrocinio del Garante delle persone sottoposte a misure ristrettive della libertà personale Regione Campania. Un crescendo di emozioni, di riflessione e di intenzioni, in un percorso di otto lezioni che Città del Monte ha seguito, raccontando di una Chiesa in uscita verso i bisognosi, sintesi di un impegno e di una responsabilità morale.

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Il convengo conclusivo – Tenutosi nell’aula della Facoltà, gremita dal popolo vero e festoso dei futuri volontari pastorali carcerari, è stato presieduto da monsignore Salvatore Angerami, Vescovo ausiliare di Napoli e moderato dal professore Carmine Matarazzo. Il convegno ha visto gli interventi del professore Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Regione Campania, del professore Giuseppe Ferraro, dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, della dottoressa Maria Luisa Palma, direttrice della Casa Circondariale di Poggioreale, e di don Antonio Mattone, direttore dell’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro dell’Arcidiocesi di Napoli. Monsignor Salvatore Angerami ha dichiarato: «Visitare i carcerati, opera di misericordia ma anche esercizio di educazione alla speranza. La Chiesa è in carcere, vive in carcere, va in carcere. Ogni cristiano è testimone, annunciatore di speranza, veicolo, strumento e canale di misericordia»; il professor Giuseppe Ferraro ha affermato: «Solo Dio può perdonare, noi possiamo restituire, ma non perdonare. Il perdono è un cammino da fare in due, rivolto a ciò che non siamo e non possiamo, un cammino fatto di gratuità e grazia. Si perdona solo amando, bisogna fare l’impossibile per amare veramente. Il perdono ci rende imperdonabili».

Oltre le sbarre, Il popolo dei volontari – Il carcere chiama, il volontario c’è: sono, allo stato attuale, il principale strumento di reintegrazione attiva della persona condannata. Raccomandazioni e direttive europee le indicano come strumenti di contrasto alla recidiva. Chi non è mai entrato in un istituto penitenziario, non può avere mai la percezione di quello che realmente è: lo dice uno che ci ha vissuto, la situazione non è bella. In stanze in cui dovrebbero vivere 4 persone ce ne sono 6, addirittura 8. Ed un solo bagno, un solo lavandino, vicino alla cucina. Se uno si lava un altro non può cucinare. E viceversa. Questa è la situazione”. dentro al carcere c’è chi è libero e c’è chi è prigioniero. La differenza è che si è prigionieri finché si rimane intrappolati nel passato. Allora tutto è il contrario di tutto. Se invece si raggiunge la consapevolezza di aver commesso un errore, in quel momento si diventa liberi, e liberi anche di vivere il carcere. Non tutti hanno la forza sufficiente, un supporto familiare alle spalle, quelle piccole basi culturali per poter affrontare il carcere in maniera diversa. C’è gente che non ha nessuno. Ed ecco l’entrata in scena dei volontari, che intendono spendersi per l’opera di risocializzazione dei detenuti, sono portatori di una cultura filantropica basata sulla gratuità, estranea al mondo del carcere e dei detenuti. La gratuità è il punto di forza, in quanto i volontari entrano in un rapporto dialogico con i detenuti e riescono talvolta a disinnescare tensioni e eventi critici attraverso la loro presenza affettiva, pur non essendo operatori, né parenti, né paesani. Essi hanno una capacità propositiva e di liberazione da schemi prefissati, che l’amministrazione per ragioni istituzionali non può avere. Sono una risorsa per la realizzazione di progetti, riescono a connettere le diverse realtà presenti nel carcere e a facilitare la realizzazione di eventi che sembravano impossibili all’interno di un carceri.