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Il cuore ha sete di perdono

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I detenuti d’Italia, portatori di un messaggio di salvezza: Il cuore ha sete di perdono – Premio Carlo Castelli per la solidarietà, 9 Edizione Augusta – Brucoli 2016.  Volume, con un angolo di cuore partenopeo, perché promosso dalla Società di San Vincenzo De Paoli, di cui è presidente il napoletano Antonio Gianfuni, in collaborazione con il ministero della Giustizia e il patrocinio di Camera e Senato.

Un’antologia di scritti dai detenuti delle carceri italiane che hanno partecipato alla nona edizione del Premio Carlo Castelli, con il quale vengono premiati:  al primo posto il racconto di Diego Zuin, E allora ti chiedi; al secondo Simone Benenati con Perdonare: una grazia infinita da dare e ricevere, al terzo Notti tra Morfeo e morfina di Domenico Auteritano. La raccoltanasce, quindi, dall’idea di mettere insiemele riflessioni di persone comuni e speciali nella stesso tempo accomunati dalla ricerca diun dialogo intimo e dolente con se stessi. Racconti, o addirittura opere, scandite in un susseguirsi di narrazioni e riflessioni a dimostrazione di come un argomento, la sete di perdono, sia capace di suscitare una numerosa partecipazione e un forte coinvolgimento soprattutto emotivo.

Sei sono i diversi perdoni rappresentati dagli autori: verso Dio, verso la società, verso gli offesi, verso chi ha offeso, verso chi ti ha offeso, verso i familiari, ma soprattutto verso se stessi, in cima ad ogni altra considerazione.  Gli scritti sono suddivisi in sezioni: opere premiate, opere segnalate e segnalazioni fuori concorso. Al di là delle distinzioni, i materiali sono sempre interessanti edi forte impatto emotivo, da leggere trattenendo il fiato.  La quantità non consente una rassegna completa; per dare un’idea dei temi, del loro sviluppo e del percorso interiore che ne è sfondo, abbiamo scelto un esempio per ogni sezione.

 

E allora ti chiedi -  di Diego Zuin, opera vincitrice, segue un percorso che va da una autoanalisi severa alla scoperta del perdono ottenuto dai familiari, sino a culminare in un più profondo bisogno di perdonare se stesso. Negli anni difficili del carcere, proprio la sete di perdono è stato ciò che ha consentito all’autore di mantenere alto il desiderio di continuare a vivere, ritrovare se stesso e arrivare a patti con quella parte del proprio essere che ha difficoltà a perdonare: <<[…] e allora ti chiedi come tu sia potuto arrivare a questo punto. Come diavolo tu abbia fatto a ridurti così, a perdere tutto in men che non si dica […] e con tutto il tempo a disposizione che si ha in galera è inevitabile pensare e meditare e dannarsi e maledirsi. Certo, sempre che tu abbia una coscienza degna di tal nome e, che quindi la medesima ti permetta di renderti conto delle macerie che hai prodotto, della gente che hai deluso, della fiducia che hai tradito, dei sensi di colpa che ti scavano dentro come un fiume lento e costante che erode anche la roccia più resistente [….] non potrò mai abituarmi alla vergogna, al senso di colpa, al continuo bisogno di essere perdonato. Perché la ricerca del perdono è una conseguenza a volte inconscia del più profondo bisogno di perdonare se stessi>>.

 

Un’identità sciupata – di Sasà,è tra le dieci opere segnalate, narra di una storia di riscatto, avente come primo atto il ritrovamento e il perdono. Un’autoanalisi e un mea culpa dell’autore, con un percorso che parte dall’infanzia, di solitudine e sofferenza, individuata come causa dell’induzione verso la droga, e dei reati commessi. <<Un bambino così spesso solo ed escluso, che cercava le attenzioni della mamma, una mamma che doveva nutrire e proteggere il proprio figlio e non mangiarlo […]è cresciuto pieno di odio e solitudine […] trovò nella droga l’unico modo per colmare vuoti e silenzi […] Oggi è un uomo in carcere dal 2010 per reati orribili. Dopo qualche anno mi chiesi perché […] e decisi di  farla finita. Un gesto estremo non andato a buon fine […] Di lì la mia sete di perdono […] Tutti sbagliamo, ma se guardi quell’erore con il cuore, senti la sofferenza che conduce all’errore, la condividi e ciò ti aiuta a non ricadere in una vita di disperazione e rimpianti e allora c’è il perdono, una magia che può arrivare solo dal cuore, una magia che smette di soffocare ogni forma di conflitto>>.

 

 

I dialoghi del tonno – di Domenico Pi, è la segnalazione fuori concorso. Una serrata indagine sul perdono e sui perdoni, sino a aggiungere, nella conclusione, il dramma di perdonare se stessi. Un percorso fatto insieme all’aiuto di Don Aldo, il sacerdote del carcere.  <<Ho finalmente scelgo, don Aldo. Ho capito quale è il perdono che vorrei. Ho capito che c’è solo una soluzione in realtà  [...] Migliorare. Cambiare. È la contropartita che voglio da me per perdonarmi. Sono disponibile con tutti, esigente solo per quel che riguarda me. Inflessibile. Ce la faro [...]. Il perdono degli altri non  me lo aspetto, non voglio aspettarlo.  Se arriverà un giorno, sarò qui ad accoglierlo facendo on modo di essere meritevole. Forse il perdono che voglio da me, frutto di sforzo, allevierà i rammarichi con cui dovrò convivere per sempre. E non dimentica mi servirà anche fuori di qui>>.

Ma il libro merita di essere letto integralmente perché ogni opera, ogni storia è portatrice di un significato diverso da ogni altro. Perdonare per crescere, con i detenuti a farci da maestri, in una lettura che può essere in grado di cambiare la vita a molti, in virtù di un messaggio chiaro e diretto, con un metodo di narrazione semplice e comprensibile: la sete di perdono dei detenuti diventa quella di tutti. Una lettura che si trasforma in una sfida, in un invito rivolto ad ogni lettore, al fine di incidere anche sulla percezione del mondo e sull’interpretazione di quanto accade nella vita quotidiana, carceri comprese.