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Il Parco nazionale del Cilento

La necessità di tutelare il Cilento dalle speculazioni edilizie e dal turismo di massa era evidente già nel 1973, anno in cui a Castellabate si teneva un convegno internazionale sui parchi costieri mediterranei.

Istituito con la legge quadro n. 394 del 6 dicembre del 1991 e nello stesso anno dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco (con i templi di Paestum e la Certosa di S. Lorenzo di Padula), il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, partendo da un’estensione iniziale di 36000 ettari, è stato progressivamente ampliato fino agli attuali 181048, ricompresi interamente nella parte meridionale della provincia di Salerno e includenti i territori di 8 Comunità Montane e 82 comuni. Nel 1997 ha ottenuto la qualificazione di Riserva della biosfera MAB-Unesco. Sono stati pianificati peraltro ulteriori ampliamenti: si tratta di due parchi marini che dovrebbero estendersi da Punta Tresino a Punta Licosa, nel Comune di Castellabate, e da Punta degli Infreschi a Scario, nei comuni di Camerota e S. Giovanni a Piro.

Terra di contrasti morfologici, il Cilento alterna alle dolci colline ricoperte di macchia mediterranea ed ulivi verde-cenere riflessi nel blu del Tirreno, le morfologie carsiche, aspre e lunari dei complessi montuosi interni (Alburno-Cervati) e meridionali, segnati da un’intensa tettonica, incisi da torrenti perennemente in piena e sui quali spuntano, tra boschi di castagno e leccio, piccoli borghi abbarbicati su rocce o adagiati lungo le sponde dei rivoli. Qui è possibile passeggiare tra faggete tipicamente appenniniche (nelle zone più elevate), cerrete (nella Valle dell’Inferno), castagneti e sugherete. Nel territorio di Sansa è anche presente la betulla.

Alla base della duplicità morfologica appena descritta v’è la differente natura geologica delle rocce: il Flysch del Cilento, fittamente stratificato e ricco di colori, dona alla costa alta forme morbide e colori inconsueti, mentre le rocce calcaree che caratterizzano l’interno del parco conferiscono a quest’ultimo l’aspetto tipico dei massicci carbonatici. Magnifica testimonianza del fenomeno carsico sono le grotte dell’Auso (presso Sant’Angelo a Fasanella), di Pertosa (accessibile per un tratto con zatteroni) e di Castelcivita (lunga quasi 5 km), le gole prodotte dal fiume Mingardo (nel tratto in cui attraversa il Monte Bulgheria) come pure le spettacolari cascate e rapide che vivacizzazono i corsi del Sammaro, del Calore e del Bussentino.

Duplice è anche la connotazione demografica del territorio del parco, suddiviso in una “zona di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale, con limitato e inesistente grado di antropizzazione” e in una seconda “zona di valore naturalistico, paesaggistico con maggior grado di antropizzazione”.

Tassi, martore, lontre, lupi e gatti selvatici, questi i mammiferi che è possibile  scorgere nel parco – in alcuni casi non senza un bel po’ di fortuna – oltre ad aquile reali, coturnici, gracchi (alpini e corallini) e picchi (neri, rossi e verdi).

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