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Il prato in fondo al mare: Ippolito Nievo

 

<<Mi conservo sempre fanciullo; amo il mondo per muovermi, l’aria per respirarla>>. Basterebbero questi pochi versi a indicare la figura e la personalità complessa di Ippolito Nievo. Benedetto Croce scrisse di lui che il suo vero capolavoro fu la sua vita senza contraddizioni, non solo per le peripezie del ‘poeta-soldato’, ma per l’impeto giovanile, intatto, ben sposato con le sue riflessioni storiche e politiche. Nievo è un veneziano che vuol essere italiano e lo dice chiaramente nell’incipit del suo romanzo chiave Confessioni di un Italiano, scritto tra il 1857 e il 1858, ma pubblicato postumo a Firenze solo nel 1867: <<Io nacqui veneziano ai !8 ottobre 1, giorno dell’ Evangelista San Luca; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo, ecco la morale della mia vita>> e poi ancora <<Sono vecchio ormai più che ottuagenario nell’anno che corre dell’0era cristiana 1858; e pur giovine di cuore forse meglio che che nol fossi mai nella combattuta giovinezza, e nella stanchissima virilità>>.  Ma queste due stagioni esistenziali si pongono come zenit e nadir di un’intera formazione, di una intera parabola che ricerca un progresso storico nella generosa esperienza politica. Il protagonista Carlo Altoviti è nato a Venezia da una patrizia e da un nobile di Torcello, frutto di un matrimonio contrastato per divario economico, privato e poi orfano della madre, troverà nel padre un affetto insopprimibile, un tenero ritratto. Ma proprio quell’Altoviti è la cartina al tornasole di Nievo, in qualche modo, così come la sua ‘pacata riflessività’ e il ‘culto della memoria’, come scrive Armando Balduino. Nievo e e Venezia, quindi, un orizzonte geografico e storico di uno rilevante scenario, cui dedicherà l’Angelo di bontà, mito della città che fu e di quella che potrà essere. I racconti su questa città sono diversi e mettono a fuoco in modo diverso la morte della aristocrazia. Una grande Repubblica davanti a un grande generale, Napoleone, complesso nei suoi ruoli, si scioglie e si dissolve. Nievo si pone l’interrogativo sull’eredità storica della repubblica  e la fine del mondo feudale che egli raccoglie, ma che nel coraggio di alcuni nobili valorosi (si pensi alla stretta vicinanza con Stendhal e forse un esempio per lo stesso Nievo), intravede uno squarcio, un esempio. Egli stesso vicino alla tessitura stilistica dell’Ortis (sebbene Carlo Altoviti non voglia incontrare Foscolo per la sua realtà vista al di fuori) e della Nouvelle Heloise, per l’aspettualità politica e sentimentale che ne pervade la tensione.

Ma nonostante il coraggio e l’attivismo reale, Carlino non è mai né vuole essere un eroe, ma mira a una medietas che gli permette di rendere vera la sua figura esemplare e di accrescere “la credibilità dell’etica e delle istanze pedagogiche di cui a più riprese si fa portavoce” (Armando Balduino). L’orizzonte geografico di Altoviti è composito, di Venezia si è detto, ma anche il castello di Fratta, memoria di un tempo che fu, di principi e di castelli e povera gente, intriso di primule e altri fiori che espandono i loro profumi e scoperta di un oltre e di un ignoto luminoso, Padova, la Cisalpina e il Friuli (<<il piccolo compendio dell’universo>>), con il loro stuolo di personaggi (si pensi al racconto Il varmo, studio affettivo e intimo del Tagliamento) che vivono nell’occhio di Carlino, scopritore dell’infanzia vitale e selvaggia. Un romanzo che è poema di giovinezza istintiva e formazione. Ma allo stesso tempo una scoperta di una parabola aperta. Armando Balduino, in un recente saggio, si chiede per quali ragioni il romanzo più importante della sua breve esistenza, non sia riuscito ad affiancarsi all’epopea manzoniana. Le ragioni si individuano probabilmente nella lunghezza maggiore e “minore affidabilità e autorità di modello linguistico” e non solo. La sua precoce fine ha interrotto la sua tensione a una maggiore  intensità, meno istintiva e maggiormente piena di respiro. Ma nella sua vita un posto particolare assume Matilde Ferrari: amore incompiuto e forse ideale, e oggetto di accorate lettere passionali. Da questo nasce anche un rovesciamento narrativo in chiave satirico-umoristica (Antiafrodisiaco per l’amor platonico), in uno stile vicino a Sterne. I suoi personaggi più veri sono le donne, misura di tutto: le Confessioni di un Italiano sono il racconto sulla Pisana, ad esempio, perenne presente di una pulsione esistenziale e di un romanticismo storico e non fantasioso. Quando muore egli non ha più nulla da dire. Nel 1860 Nievo si mosse da Milano per accorrere a Genova e per sbarcare con i mille a Marsala, per combattere a Calatafimi (che Silone molto tempo dopo disse che era una sorta di battaglia di Stalingrado, confronto fantasioso e scena amplificata di un evento) e poi entrare a Palermo. Conquista virtuale e ritirata borbonica. Uno scrittore di fretta Nievo, pronto a passare il testimone a Verga. Poeta soldato che cammina solitario, scrutando l’orizzonte per spalancarlo, per decifrarlo. Vive con emozione questo sbarco l’attesa di un compimento della sua natura di ideali e di aneliti. Ma la notte fra il 4 e il 5 marzo 1861 nel naufragio del vapore Ercole, nelle acque del Tirreno tra Palermo e Napoli, si spezza il suo viaggio e muore come un prato in fondo al mare: <<Speriamo peraltro nella Provvidenza e ricordiamoci ed amiamoci sempre, che la nostra vita lunga o breve sarà stata abbastanza felice, mille baci con l’anima di tuo fratello>>.

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