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Il Punto G esiste?

teresa_montesarchio_città_del _monte_punto_g_sessualitàQualche giorno fa è stato reso noto l’esito di una rassegna svolta dai ricercatori dell’Università dell’Aquila e di Tor Vergata, capeggiati dal professore di endocrinologia e sessuologia Emmanuele Jannini, i quali hanno confermato, così come già emerso da altri studi, che il punto G è solo una chimera.

Ma come è nato e si è evoluto questo mito?

Già nel 1940 il ginecologo tedesco Ernst Graffenberg, insieme al suo collega americano Robert Dickinson, fece la scoperta di una zona erogena lungo la superficie suburetrale della parete anteriore della vagina. Graffenberg non diede un nome a questa zona, che era comunemente nota come “spugna uretrale”, così come ancora oggi molti sessuologi usano definirla.

Le ricerche di Graffenbergs caddero, però, nell’oblio fino agli anni ’80, quando John Perry e Beverly Whipple asserirono che, virtualmente, tutte le donne possedevano un’area erogena molto sensibile a stimolazione, nella stessa zona individuata dal ginecologo tedesco. Così, per la prima volta, quest’area fu battezzata col nome di Punto Graffenberg o, più semplicemente, Punto G. Nel 1982 Perry e Whipple diffusero le loro scoperte in un libro, The G-Spot And Other Recent Discoveries About Human Sexuality, destinato a divenire un best-seller. Da quel momento in poi, crebbe e si sviluppò un’intensa curiosità intorno alla questione e milioni di donne e coppie furono impegnati nella ricerca del misterioso punto G. Nonostante ciò, solo pochi di essi riuscirono nell’impresa, sollevando intorno alla questione numerose controversie.

Poco dopo la pubblicazione del best-seller firmato Perry&Whipple, altri ricercatori nel campo della sessuologia rigettarono il punto G., bollandolo come un’invenzione fantasiosa, nient’altro che un mito e supportando queste asserzioni col fatto che molte donne non esperivano sensazioni erotiche in seguito a massaggio della spugna uretrale. Nell’edizione del 1988 del libro Human Sexuality, i pionieri della ricerca sessuale, William Masters e Virginia Johnson, affermarono che Perry e Whipple avevano sopravvalutato una percentuale esigua di donne sessualmente responsive a stimolazione del punto G., circa il 10% di esse.

A tali accuse, Perry e Whipple corressero il tiro, sottolineando che il punto G non era esattamente un punto precisamente delineato, come un bottone, ma un’area molto più vasta situata in profondità nella parete anteriore della vagina. Nonostante ciò, ancora molte donne non riuscivano nell’impresa di trovare il fatidico punto del piacere sessuale femminile e, se lo fecero, molte di esse lo trovarono deludente.

I ricercatori capeggiati da Jannini hanno individuato una vasta area particolarmente sensibile a stimolazione, che hanno ribattezzata CUV (complesso clitoro-uretro-vaginale), che comprende tessuti, muscoli, ghiandole e utero, mettendo fine, in tal modo, alle favole che narravano dell’esistenza di un magico punto che, se toccato, era in grado di generare sensazioni indescrivibili a qualsiasi donna.

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